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04 Ott 2017

Un Premio Nobel strameritato

Giuseppe Longo

Giuseppe Longo
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Mai come in questo caso, il vecchio detto “tanto tuonò che piovve”, si è avverato. Come molti si aspettavano, il premio Nobel 2017 per la Fisica è stato assegnato agli statunitensi Kip Thorne e Barry Barish del California Institute of Technology e a Rainer Weiss del Massachussetts Institute of Technology, per avere concepito e realizzato LIGO: il grande interferometro che ha permesso la rivelazione diretta delle onde gravitazionali.

Mai come in questo caso, il vecchio detto “tanto tuonò che piovve”, si è avverato. Come molti si aspettavano, il premio Nobel 2017 per la Fisica è stato assegnato agli statunitensi Kip Thorne e Barry Barish del California Institute of Technology e a Rainer Weiss del Massachussetts Institute of Technology, per avere concepito e realizzato LIGO: il grande interferometro che ha permesso la rivelazione diretta delle onde gravitazionali.

 

La storia delle onde gravitazionali

Per una volta si può essere contenti: pochi Nobel sono stati altrettanto meritati di questo. Un premio al genio, alla tenacia, all’inventiva che oltre ai tre premiati dà il giusto riconoscimento ad una comunità di oltre mille fisici che, in tutto il mondo, hanno contribuito a questo straordinario risultato. La storia di questo Nobel è iniziata nel 1916, quando Albert Einstein predisse l’esistenza delle “onde gravitazionali”, piccole perturbazioni dello spazio tempo causate da brusche variazioni nella posizione di oggetti molto massicci. Einstein però ritenne che questa sua previsione fosse poco più di un concetto teorico dato che, a suo parere, l’ampiezza di queste onde era talmente piccola da renderle praticamente inosservabili. Ma la scienza e la tecnologia evolvono rapidamente e già gli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, il fisico americano Joseph Weber costruì un primo prototipo di antenna gravitazionale che si rivelò del tutto inadeguato. 

 

Gli interferometri

La strada era però aperta e Rainer Weiss immaginò un nuovo tipo di rivelatore basato sull’interferenza della luce emessa da un laser. Il principio era semplicissimo: quando la luce emessa da un laser viene divisa in due fasci e poi, tramite degli specchi, i due fasci vengono ricomposti, si ha un fenomeno di interferenza luminosa e la formazione di piccole frange alternativamente chiare e scure. La forma di queste frange dipende in modo molto preciso dalla distanza percorsa dai due fasci di luce. Ora, se gli specchi su cui viene fatta rimbalzare la luce vengono montati su delle masse sospese in aria, il passaggio di un’onda gravitazionale genera un piccolissimo spostamento che cambia di un nonnulla la lunghezza del percorso dei due fasci e, quindi anche le caratteristiche dell’interferenza osservata. L’idea era concettualmente semplice ma la sua realizzazione pratica poneva difficoltà enormi che avrebbero richiesto oltre quaranta anni di sperimentazione tecnologica e di studi teorici. Si trattava infatti di misurare spostamenti degli specchi pari a un decimillesimo del diametro di un protone. Già nel 1972, Weiss pubblicò un’accurata descrizione di molti degli effetti che avrebbero dovuto essere eliminati per giungere alla rivelazione delle prime onde gravitazionali: variazioni termiche, vibrazioni sismiche e generate dall’uomo, fluttuazioni di umidità e densità dell’aria, stabilità dei materiali, e così via, in una lista lunghissima che avrebbe scoraggiato chiunque ma non Weiss, che già nel 1975 costruì un prototipo del futuro interferometro.
In questi interferometri, al fine di allungare quanto più possibile

 

LIGO 

Contemporaneamente, Kip Thorne ed I suoi collaboratori avevano iniziato a studiare gli aspetti teorici dell’emissione di onde gravitazionali e a identificarne le possibili sorgenti: supernovae, buchi neri e stelle di neutroni. Non fu quindi una sorpresa quando, sempre nel 1975, Weiss invitò Thorne ad un incontro organizzato dalla NASA per discutere con lui delle prospettive future. Weiss fu così convincente da indurre Thorne ad avviare presso il Caltech un gruppo sperimentale per la costruzione di una nuova antenna interferometrica, di 40 metri di lunghezza, con cui iniziare a sperimentare. In parallelo Thorne ed i suoi iniziarono ad analizzare le fonti di segnali spuri che avrebbero potuto pregiudicare le misure e il come si sarebbe potuto neutralizzarle. Tra questi, anche effetti sottilissimi quali il rumore quantistico e le fluttuazioni casuali degli specchi sospesi. Nel 1984 i due gruppi americani si fusero e con l’incoraggiamento della National Science Foundation, iniziarono a progettare LIGO. Il primo direttore del consorzio, Rochus Vogt, riuscì a convincere sia la NSF che il congresso degli Stati Uniti ad investire in un progetto che appariva essere estremamente costoso e molto rischioso ma che, in cambio, se avesse funzionato, avrebbe portato ad un successo scientifico straordinario. Nel 1992 iniziò la costruzione di LIGO.
Le difficoltà da superare erano tali che il consorzio assunse decise di assumere uno dei migliori manager di progetti scientifici, Barry Barish. Barish proveniva dalla fisica delle particelle e, prima di allora, aveva diretto esperimenti sui neutrini al Fermilab, il progetto MACRO che cercava di rivelare le particelle che, secondo la teoria di grande unificazione, potrebbero essere le portatrici del campo magnetico, i cosiddetti “monopoli”. Per un breve tempo aveva anche lavorato ad uno degli strumenti del grande acceleratore di particelle che gli americani volevano costruire in concorrenza con il Large Hadron Collider (LHC) europeo. Nel 1993, dopo la concellazione dell’acceleratore, Barish era per così dire “disoccupato” e, quindi, accettò per diventare, nel 1997, il direttore di LIGO. Fu grazie a lui, che il porgetto potè superare anni difficili. Barish, infatti combattè su due fronti, su quello tecnico, per aiutare a risolvere le sfide tecnologiche che si ponevano ogni giorno e su quello amministrativo per assicurae il consenso del governo e i finanziamenti necessari per andare avanti.
La costruzione di vari prototipi intermedi portò alla realizzazione del primo LIGO: un interferometro a 2 bracci ognuno della lunghezza di 4 km che, dal 2002 al 2010, malgrado non avesse ancora raggiunto la sensibilità necessaria a rivelare un’onda gravitazionale, raccolse dati e permise di acquisire l’esperienza necessaria a costruire – tra il 2010 ed il 2015 – l’attuale interferometro: Advanced Ligo. Barish fu anche il motore che portò alla creazione della collaborazione internazionale LSC (LIGO Scientific Collaboration) che raggruppa oltre 1220 tra scienziati ed ingegneri in un centinaio di istituti di 19 nazioni. Alla LSC afferivano anche numerosi gruppi teorici che studiavano la forma dei segnali che sarebbero stati prodotti da una grande varietà di fenomeni astrofisici: collisioni tra buchi neri o tra stelle di neutroni, esplosioni di supernovae. Etc. Un lavoro complesso ma indispensabile per esere in grado di riconoscere la firma di eventuali segnali rilevati da LIGO.

 
Il ritardo di VIRGO

Agli inizi del 2015, LIGO fu pronto. Due interferometri a due bracci, uno a Hanford nello stato di Washington e l’altro a Livingston in Louisiana. Identici. Ciascuno con due bracci di 4 km di lunghezza. Un progetto collegato, l’Italo Francese VIRGO, realizzato dall’Istituto Italiano di Fisica Nucleare e dal CNES francese presso Cascina vicino Pisa, era però in ritardo. E’ inutile piangere sul latte versato e dilungarsi sul perché. Diciamo solo che, come sempre, per la politica italiana la ricerca fondamentale è tra le priorità più basse e che i fondi investiti sono pochi, la burocrazia farraginosa, i criteri di certe scelte non sempre trasparenti. Quella che nel Bel Paese è una prassi normalmente fastidiosa in questo caso si rivelò disastrosa. Infatti, prima che Advanced Virgo potesse entrare in funzione, il 14 settembre del 2015, LIGO ebbe la fortuna di captare un segnale molto chiaro. I confronti con le simulazioni mostrarono che la sorgente quasi certamente era stata la collisione di due buchi neri 29 e 36 volte più pesanti del Sole e situati ad una distanza enorme, un miliardo e trecento milioni di anni luce dalla Terra. Un evento devastate in cui era stata liberata un’energia pari a quella che si otterrebbe annichilando una massa tre volte maggiore di quella del Sole. Dopo lunghi e meticolosi controlli il consorzio annunciò la scoperta l’11 febbraio del 2016 in una conferenza stampa che fu trasmessa in mondovisione. Per correttezza e “fair play” gli americani ringraziarono gli italiani e i francesi per il contributo ma, di fatto, la scoperta era interamente americana.

 

L’astrofisica delle onde gravitzionali

Di fatto, già un paio di mesi prima, il 26 dicembre, era stata rivelata una seconda onda gravitazionale, questa volta prodotta dalla fusione di due buchi neri di 14 e 8 volte la massa del Sole avvenuta a circa 1,4 miliardi di anni luce dalla terra. Una terza onda gravitazionale sarebbe stata osservata di lì a un anno, il primo giugno del 2017. Anche questa volta si trattava della fusione di due buchi neri, rispettivamente di 31 e 19 masse solari e posta a circa 3 miliardi di anni luce. In tutti e tre i casi, purtroppo, nulla si poteva dire sulla direzione da cui proveniva l’onda gravitazionale. Le due antenne di LIGO infatti, pur essendo sensibilissime, sono praticamente incapaci di fornire informazioni sulla direzione da cui proviene un’onda gravitazionale. Per riuscire a mettere un vincolo un po’ più stringente occorreva triangolare la direzione d’arrivo dell’onda con almeno tre strumenti diversi posti ad una certa distanza l’uno dall’altro. In altre parole, occorreva VIRGO che, nel frattempo, aveva risolto i suoi problemi ed iniziato la presa dati. Il 14 agosto di quest’anno, alle 10 e 30 tempo universale, per la prima volta, un’onda gravitazionale è stata osservata da tre rivelatori: le due antenne di LIGO e l’antenna Italo-Francese VIRGO sita a Cascina vicino Pisa. Il segnale rivelato da Virgo, pur essendo molto più debole e rumoroso di quello visto da Virgo non lasciava però dubbi ed ha permesso di restringere la direzione di arrivo ad alcune centinaia di gradi quadrati. Per la prima volta, il consorzio LIGO ha fatto vera astrofisica, rivelando l’onda e restringendo la direzione di provenienza ad un campo pur sempre grande ma (molte decine di gradi quadrati) tale da rendere possibile la ricerca di eventuali controparti elettromagnetiche, cioè di segnali nel dominio dei raggi X, dell’ultravioletto e delle lunghezze d’onda visibili. Una nota recentemente apparsa su Nature afferma che i ricercatori coinvolti avrebbero trovato sia nell’X che nell’ottico i segni di un evento esplosivo verificatosi nello stesso istante e nella stessa regione di cielo, Il consorzio, comunque, sta ancora verificando i dati e mantiene il più stretto riserbo sull’evento. Se così fosse, i i fisici italiani possono, in un certo senso consolarsi dato che, sebbene VIRGO non abbia contribuito alla rivelazione delle onde gravitazionali, di certo senza VIRGO non sarebbe potuta nascere una nuova branca dell’astrofisica: l’astrofisica delle onde gravitazionali.

Giuseppe Longo
Giuseppe Longo
Ordinario di Astrofisica dell’Università Federico II di Napoli, associato al California Institute of Technology, all’Istituto Nazionale di Astrofisica e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, nonché membro dell’Accademia Pontaniana, più antica accademia scientifica del mondo. Ha prodotto oltre 300 pubblicazioni scientifiche (più della metà su riviste internazionali) e da oltre un ventennio si occupa di divulgazione scientifica. I suoi interessi di ricerca riguardano la cosmologia osservativa e l’analisi automatica con tecniche di intelligenza artificiale dei dati prodotti dagli strumenti astronomici.
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