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30 Mar 2020

Sostenibilità: se fai BAU all’ecosistema, sai cosa ti risponde?

Ilaria Perissi

Ilaria Perissi
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Forse molti di voi sanno già che il BAU non è soltanto la simpatica onomatopea che caratterizza una espressione di messa in guardia da parte degli amici a 4 zampe, ma un acronimo ereditato dalla lingua inglese che significa Business As Usual, ovvero “gli affari vanno avanti come al solito”.

Forse molti di voi sanno già che il BAU non è soltanto la simpatica onomatopea che caratterizza una espressione di messa in guardia da parte degli amici a 4 zampe, ma un acronimo ereditato dalla lingua inglese che significa Business As Usual, ovvero “gli affari vanno avanti come al solito”.
Il termine, proprio delle discipline economiche, è frequentemente usato nel campo della sostenibilità ambientale per descrivere tutte quelle situazioni in cui il rapporto dell’essere umano con l’ambiente è basato su compiti-azioni di tipo ripetitivo senza nessun senso critico per le eventuali conseguenze o per attuare un miglioramento. In conseguenza al nostro comportamento BAU l’ecosistema prende i suoi provvedimenti e ci invia dei segnali di avvertimento ben precisi, che non possiamo più ignorare. Vediamone il perché.

 

Cosa vuol dire Sostenibilità?

Prima di tutto bisogna riflettere sul significato di sostenibilità: se provate a cercare, troverete varie definizioni, tutte corrette ma spesso non univoche. Nel mio ultimo lavoro ho provato a riassumere il concetto così: nell’ambito del nostro ecosistema, il soggetto che “sostiene” è il pianeta Terra, mentre le azioni “da sostenere” riguardano principalmente lo sfruttamento da parte dell’uomo delle risorse naturali che il pianeta ci mette a disposizione, sfruttamento su cui si basano la nostra economia e la nostra società. C’è però da tener di conto che la maggior parte dei cicli produttivi (industriali, agricoli, energetici, di trasporto) porta con sé effetti collaterali, tipo scarti inquinanti o altri forti impatti ambientali. Insomma, potremmo dire che la scienza della sostenibilità ha il compito di trovare il giusto equilibrio fra l’intensità delle attività umane e la capacità che ha il pianeta di sostenerle. Questa attitudine, in ambito scientifico, viene definita capacità di carico (o carrying capacity) dell’ecosistema.
Si intuisce che la carrying capacity è il risultato di una fitta rete di relazioni causa-effetto fra risorse, popolazione, economia e inquinamento e non è un limite banale da focalizzare. Infatti, lo si studia da tempo: Malthus, economista e demografo di fine Settecento, si occupò di stimare il limite di individui di una popolazione in base alla disponibilità del cibo; Georgescu Roegen, economista degli anni ’60-’70, si focalizzò sullo studio dei limiti della crescita economica in base alla disponibilità delle risorse energetiche; Forrester, ingegnere elettrotecnico e informatico, applicò le teorie sui servomeccanismi con retroazione allo studio dei processi produttivi di alcune grosse aziende americane. Tutti personaggi con esperienze assai più vicine alle scienze economiche che non alle scienze naturali; ora ci è chiaro il perché si usi spesso il termine BAU in ambito di sostenibilità!

 

BAU e limiti dello sviluppo: il modello di Forrester

Forrester, in particolare, ci ha lasciato un lavoro molto importante, World Dynamics (1971), ovvero Dinamiche del Mondo: qui per la prima volta risorse, popolazione, capitali e inquinamento sono tutti messi in relazione in un unico modello. Con questo strumento, benché qualitativo, già allora è stato possibile capire che se la società continuava la sua relazione BAU con il pianeta – ovvero reiterare l’obiettivo di sfruttamento intensivo delle risorse per avere una crescita economica illimitata – senz’altro avrebbe sorpassato la capacità di carico, rischiando il crash degli equilibri dell’ecosistema e il collasso dell’economia. Studi successivi e modelli quantitativi più complicati (I Limiti dello Sviluppo, 1972) hanno confermato questo scenario futuro catastrofico come conseguenza di un comportamento BAU. Ho pensato però che nella sua semplicità, bastava il modello di Forrester a far capire che l’alternativa al BAU e alle sue conseguenze c’è.
Ho ripreso il modello World Dynamics e l’ho modificato inserendo una nuova variabile, che faceva appena capolino sul mercato negli anni ’70: l’energia rinnovabile. L’uso di risorse come il sole e il vento ci sgancia sia dall’inevitabile esaurimento delle risorse minerali fossili, concorrendo in modo decisivo alla riduzione delle emissioni da gas serra nel medio-lungo periodo. Certo, queste risorse sono caratterizzate da cicli che al momento sono difficili da gestire, ma non impossibili. Il nuovo modello mostra che, rivisitando le priorità della nostra economia e con queste anche il concetto di benessere, non più solo misurato dal PIL, ma soprattutto legato alla misura con cui riusciamo a tutelare l’ecosistema, possiamo farcela. Ma dobbiamo fare presto.

Emergenza planetaria: riflessioni sulla sostenibilità ai tempi del Coronavirus

L’emergenza si fa ancora più evidente alla luce degli eventi legati all’epidemia di Covid-19: la correlazione fra l’inquinamento atmosferico, la diffusione del virus, il nostro benessere, il lavoro, la vita quotidiana, l’economia dimostrano come non possiamo più trattare nessun evento in modo scorrelato e come dobbiamo porvi rimedio con politiche di tipo internazionale. Un esempio su tutti, la riforma dei trasporti: abbiamo visto le immagini dai satelliti che mostrano come in pochi giorni l’inquinamento da polveri sottili sia quasi scomparso dalle grandi città. Ora è sicuramente prioritario affrontare l’emergenza sanitaria, ma una volta che sarà finita e ci troveremo tutti a dover ripartire, potremo già gettare le basi per fare un passo avanti e non ritornare al BAU?
Le immagini che ci vengono fornite dagli stessi satelliti laddove l’emergenza sta pian piano rientrando non sono molto incoraggianti. L’inquinamento sta ricrescendo proprio come non dovrebbe, forse in maniera transitoria forse no, è presto per giudicare. Ciò che è certo è che l’alternativa a un modo di vivere più sostenibile c’è ed è alla nostra portata, con qualche sacrificio ben più leggero di quello richiesto ora per fronteggiare questa epidemia. Ciò è ormai chiaro.

Ilaria Perissi
Ilaria Perissi
Chimico Fisico di formazione e PhD in Scienza dei Materiali, Ilaria Perissi è impegnata nella ricerca sulla mitigazione del cambiamento climatico presso l’Università di Firenze. È membro del Consiglio della Federazione Europea “Transport&Environment” ed è autrice di vari articoli sull’uso di modelli di Dinamica dei Sistemi nello studio dello sfruttamento delle risorse.
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