Covid: variante “inglese”, “sudafricana” e “brasiliana”
Ove le oltre 100 000 morti per Covid-19 e la Brexit non bastassero a funestare la vita dei sudditi di Sua Maestà la regina Elisabetta II, ecco allora che compare sulla scena la cosiddetta “variante inglese” di SARS-CoV-2, cui fanno da compagne la “sudafricana” e la “brasiliana”, quest’ultima appena segnalata in Italia.
Benché i coronavirus – al pari di tutti gli altri virus a RNA, influenzavirus in testa – mutino nel tempo, ci si chiede se e in quale misura le suddette varianti possano eludere l’immunità conferita dall’infezione naturale o dalla vaccinazione anti Covid-19, mettendo così a repentaglio l’acquisizione dell’immunità di gregge e predisponendo alla comparsa di reinfezioni da SARS-CoV-2.
Ricordate il “morbo della mucca pazza”?
Mutatis mutandis, un’altra tristemente famosa variante fece il suo ingresso, venticinque anni fa, nella storia della sanità pubblica britannica e, a seguire, in quella della sanità pubblica globale. Nell’aprile del 1996 vennero infatti descritti, in pazienti inglesi, i primi 10 casi della “variante della CJD” (variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob), che due successivi studi consentirono di ascrivere alla pregressa esposizione umana all’agente responsabile del “morbo della mucca pazza”, alias encefalopatia spongiforme bovina (BSE).
Nonostante le colossali differenze che le separano, a cominciare dal fatto che una è causata da un virus, l’altra da un prione, Covid-19 e mucca pazza mostrano una serie di intriganti analogie, già a suo tempo esplicitate in una Letter to the Editor pubblicata insieme alla mia collega Cristina Casalone su Science e rispecchiate, in primis, dal “Principio di Precauzione” e dal concetto di “Salute Unica”, alias One Health. Tali componenti hanno rispettivamente caratterizzato, infatti, la gestione sanitaria di entrambe le malattie, fornendoci al contempo le chiavi di lettura necessarie per decifrare l’origine e l’evoluzione delle stesse, così come di tutte le altre malattie infettive emergenti.
Queste ultime si originerebbero, in almeno il 70% dei casi, da uno o più serbatoi animali, dai quali i rispettivi agenti causali attuerebbero il salto di specie, alias spillover, che gli consentirebbe di colonizzare il genere umano. Così è certamente avvenuto, a suo tempo, per i due coronavirus responsabili della SARS e della MERS e, con ogni probabilità, anche per il famigerato coronavirus SARS-CoV-2!