I vaccini sviluppati contro l’infezione da SARS-CoV-2 si sono rivelati di estrema importanza nel contenere la pandemia da Covid-19, permettendoci di evitare ulteriori lockdown e, quindi, di arginare le relative conseguenze psicologiche, sociali ed economiche.
Le prime strategie adottate contro il Covid-19: il drug repurposing
Stiamo imparando a convivere con un virus che continua a circolare e contro il quale resta di primaria importanza sviluppare terapie efficaci. Una delle prime strategie adottate contro la pandemia è stata il riposizionamento di farmaci (drug repurposing). In media, sono necessari circa 10 anni per sviluppare un nuovo farmaco per una patologia. Il riposizionamento ha, invece, il vantaggio di accelerare il processo di sviluppo, poiché si pone l’obiettivo di identificare un composto promettente tra quelli già usati clinicamente per altre patologie e, pertanto, dotato di un profilo di sicurezza sanitario noto.
Uno sforzo senza precedenti della comunità scientifica ha consentito di riposizionare alcuni noti antivirali come farmaci in grado di contrastare l’infezione da SARS-CoV-2 attraverso l’interazione con alcune sue proteasi, delle piccole proteine capaci di rompere il legame peptidico tra le altre proteine e che fanno parte dell’armamentario dell’infezione del virus.
Il virus possiede un’elevata capacità di mutare – ricordiamo tutte le varianti alfa (la prima), delta (quella estremamente infettiva scoperta in Gran Bretagna) e omicron, con le sue sottovarianti che circolano oggi – e questo può determinare ulteriori nuove varianti caratterizzate da proteasi in grado di resistere a tali terapie di riposizionamento, che diventerebbero, di fatto, inefficaci.
Un nuovo approccio: il progetto DATIAMO
Un approccio ideale, indipendente dalla capacità mutazionale del virus, si basa invece sull’identificazione di molecole che interagiscono con le proteine umane (host-proteins) che il virus sfrutta nella sua replicazione. Nell’aprile del 2020 è stata pubblicata, sulla rivista Nature, la mappatura delle interazioni tra le proteine del virus SARS-CoV-2 e le host proteins.
Tra quelle identificate, sono emerse le proteine chiamate recettori sigma-1, che interagiscono con una proteina virale chiamata NSP6. I recettori sono delle proteine cellulari alle quali si legano specifiche molecole, dette ligandi. Grazie all’interazione recettore-ligando, si ottiene una risposta cellulare. I ligandi per il recettore sigma-1, ad esempio, generano una serie di risposte cellulari, tra le quali la modulazione del rilascio di ioni calcio.
Nella fattispecie, sembrerebbe che l’interazione tra il recettore sigma-1 e la proteina virale NSP6 permetta la replicazione virale, poiché l’inibizione di tale interazione con un ligando di riferimento per il recettore sigma-1 o il “silenziamento” dell’espressione dello stesso recettore riduce considerevolmente l’infezione da SARS-CoV-2 in modelli cellulari in vitro (esperimenti di laboratorio in cui cellule specifiche vengono messe in contatto con il virus).
Esistono già delle librerie di ligandi per il recettore sigma-1, e questi composti sono stati analizzati nei saggi anti SARS-CoV-2. I risultati preliminari hanno suggerito che alla base dell’effetto anti SARS-CoV-2 dei composti ci sia la loro capacità di indurre un leggero cambiamento nella forma della proteina sigma-1 – il cosiddetto cambiamento conformazionale – in grado di alterare la formazione dei complessi formati tra la proteina sigma-1 e la proteina NSP6, necessari alla replicazione del virus.
Questa idea è stata messa in opera nel progetto DATIAMO, finanziato dal CNR e frutto di una collaborazione tra il CNR, l’Università degli studi di Bari, l’Istituto Pasteur e l’Università di Harvard. L’idea è di studiare i cambi conformazionali che spengono la replicazione virale con la prospettiva di porre le basi per una terapia anti Covid-19 efficace e duratura.
La molecola F170, sviluppata nell’ambito del progetto DATIAMO, interagisce con il recettore sigma-1: posa di docking che evidenzia i siti d’interazione ligando-proteina.