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12 Mar 2018

A very cold case

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Molte volte abbiamo paragonato il lavoro d’investigazione che osserviamo con il fiato sospeso in molte serie poliziesche a quello svolto dagli archeologi, che raccolgono indizi, interpretano tracce, mettono insieme i pezzi di una storia avvenuta in un passato remoto. Mai come questa volta, però, i metodi utilizzati sono simili a quelli adoperati nelle attuali scene del crimine. Le analisi forensi si mescolano all’archeologia sperimentale per un very cold case: freddo perché risalente a 14.000 anni fa ma anche perché il luogo di cui parleremo sono le gelate lande artiche.

Molte volte abbiamo paragonato il lavoro d’investigazione che osserviamo con il fiato sospeso in molte serie poliziesche a quello svolto dagli archeologi, che raccolgono indizi, interpretano tracce, mettono insieme i pezzi di una storia avvenuta in un passato remoto. Mai come questa volta, però, i metodi utilizzati sono simili a quelli adoperati nelle attuali scene del crimine. Le analisi forensi si mescolano all’archeologia sperimentale per un very cold case: freddo perché risalente a 14.000 anni fa ma anche perché il luogo di cui parleremo sono le gelate lande artiche.

 

Cerchiamo di entrare un po’ più nello specifico. Gli antropologi Janice Wood e Ben Fitzhugh, dell’Università di Washington, hanno ricostruito antiche armi preistoriche per studiarne la qualità e le modalità con le quali venivano adoperate per la caccia. L’approccio seguito è proprio dell’archeologia sperimentale: una disciplina che ha come obiettivo la verifica sperimentale dei processi di produzione e fabbricazione di edifici, manufatti e altre opere del passato, attraverso la loro riproduzione con tecniche apprese mediante lo studio e nella ricerca storica. Per questa ricerca gli archeologi hanno ricostruito le armi appartenenti alle popolazioni vissute in Alaska, nel periodo compreso tra 10.000 e 14.000 anni fa, per capire le scelte tecnologiche operate dagli uomini della gelida preistoria che ha visto il passaggio tra Pleistocene e Olocene.

 

Sono state ricostruite tre armi da lancio aventi differenti tipologie di punte: quelle in osso, dalla forma a V, quelle in ossidiana, dal profilo simile a una lacrima e con i bordi frastagliati, e infine le microlame, più elaborate, in cui piccoli inserti in ossidiana sono incastrati sui lati di una struttura allungata, in corno. Una volta ottenuti questi strumenti, costruiti sulla base dei ritrovamenti archeologici della zona corrispondenti all’intervallo temporale da analizzare, si è passati all’esame balistico.

 

Punte Preistoriche Cacciatori Alaska

 

I ricercatori dell’Università di Washington hanno ricreato antiche punte da lancio per testare la loro efficacia. Da sinistra a destra: punta in ossidiana, microlame e punta in osso. Image credits: Janice Wood

 

La balistica è la scienza che studia i problemi relativi al moto dei proietti, ossia qualsiasi corpo pesante lanciato nello spazio da una forza. Nel nostro caso da quella della ricercatrice che, con un arco ricurvo in acero (per simulare il lancio effettuato da altri congegni tra cui l’atlatl, un propulsore), ha provato l’efficienza delle sue punte dapprima su gel balistico (una sostanza sintetica che mima densità e viscosità di un muscolo animale) e, in seguito, la carcassa di una renna deceduta da poco.

 

Il primo test è servito a valutare gli effetti della forma della punta, la profondità di penetrazione e i danni ai tessuti, valori in seguito usati come indicatori di letalità dell’arma. Il secondo test ha permesso di esplorare ulteriormente le performance delle tre armi su un bersaglio quanto più possibile realistico. Cosa è stato scoperto? Le tre punte hanno tre differenti modalità d’azione: la lama in osso crea ferite puntuali, con danni limitati e senza perdita di sangue da parte dell’animale, la bifacciale in ossidiana arriva a profondità maggiori e ha la tendenza a creare ferite più aperte e sanguinanti. Infine le microlame producono danni maggiori nei tessuti, si frammentano, portano a una perdita di sangue più copiosa e una morte dell’animale più veloce.

 

AVeryColdCase Infografica Archeobaleni

 

Infografica realizzata da Maria Cristina Caggiani, autrice del blog Archeobaleni

 

Ponendo in relazione gli ambienti in cui sono state ritrovate le punte e la fauna che doveva essere presente nella finestra temporale studiata, i due antropologi – che hanno descritto il loro lavoro in un articolo pubblicato su Journal of Archaeological Science – hanno iniziato a ipotizzare che gli uomini preistorici avessero una profonda comprensione delle tecnologie a disposizione e di come dovessero essere funzionali ed efficienti a seconda della situazione. La caccia, e quindi l’approvvigionamento di cibo, era un aspetto fondamentale delle loro vite ed è per questo che è possibile pensare che esistesse un’attenzione particolare affinché si utilizzassero i migliori strumenti per un determinato tipo di preda, in specifiche condizioni. In gioco c’era la loro sopravvivenza.

 

Questa ricerca fa luce sulla capacità degli uomini di andare incontro all’innovazione per cambiare il corso della storia e può aiutare nell’interpretazione di fenomeni passati quali le migrazioni di popolazioni umane e animali e il cambiamento degli ecosistemi, prima e dopo le glaciazioni.

 

In questa strana CSI (Crime Scene Investigation) archeologica, il caso non è ancora chiuso definitivamente ma siamo sicuramente su una buona strada.

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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