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14 Ott 2019

Conservare cibo nel Paleolitico: il caso del midollo

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Abbiamo le nostre scatolette di tonno, i nostri barattoli di legumi cotti e di marmellata. Questi sono solo pochissimi dei prodotti che conserviamo per periodi lunghi: una riserva di cibo già pronto per i momenti di necessità. Nel Paleolitico, i nostri antenati non possedevano certamente i nostri frigoriferi e sistemi di conservazione; inoltre le comunità umane erano ancora dedite a caccia e raccolta, quindi si suppone che consumassero nell’immediato ciò che avevano a disposizione. Ora le ossa ritrovate nel sito archeologico di Qesem Cave, in Israele, sembrano raccontarci un’altra storia, il cui protagonista è il midollo (per capirci meglio, quello vediamo nell’ossobuco e che lo rende così succulento).

Abbiamo le nostre scatolette di tonno, i nostri barattoli di legumi cotti e di marmellata. Questi sono solo pochissimi dei prodotti che conserviamo per periodi lunghi: una riserva di cibo già pronto per i momenti di necessità. Nel Paleolitico, i nostri antenati non possedevano certamente i nostri frigoriferi e sistemi di conservazione; inoltre le comunità umane erano ancora dedite a caccia e raccolta, quindi si suppone che consumassero nell’immediato ciò che avevano a disposizione. Ora le ossa ritrovate nel sito archeologico di Qesem Cave, in Israele, sembrano raccontarci un’altra storia, il cui protagonista è il midollo (per capirci meglio, quello vediamo nell’ossobuco e che lo rende così succulento).

 

Un gruppo di ricercatori israeliani e spagnoli, nel corso di uno scavo in una grotta occupata da una comunità umana tra 420.000 e 200.000 anni fa, ha raccolto ben 82.000 frammenti di ossa di animali macellati per poi essere mangiati, la maggior parte appartenenti a daini. Gli archeologi hanno, però, osservato qualcosa di inusuale. Solitamente sulle ossa ci sono i segni delle scalfitture dovute agli strumenti taglienti in pietra adoperati per la preparazione dell’animale per la successiva consumazione: sono tracce che hanno una determinata forma, dimensione e collocazione, un linguaggio di striature più o meno profonde che gli studiosi hanno imparato a leggere.

 

Alcune delle ossa israeliane parlavano con parole non ancora conosciute. Mi spiego meglio. I solchi profondi sulle estremità delle ossa delle zampe dei daini (metacarpi e metatarsi) sembravano non avere senso. Potevano essere stati fatti per strappare via la pelle e ricavarne carne e grasso? Non c’è molto di cui nutrirsi nella parte finale di una zampa di questo animale e, quando è appena stato ucciso, togliere la pelle non richiede grandi sforzi. Diverso è quando lo si fa dopo un po’ di tempo. Ma perché ripulire una zampa dopo settimane?

 

Effettivamente c’è solo una cosa di veramente appetibile in quella parte del corpo di un daino: il midollo. I grassi animali sono una fonte nutrizionale importante nella dieta degli essere umani, dato il loro alto valore energetico rispetto a proteine e carboidrati. Per una comunità di cacciatori-raccoglitori, che dipende quasi del tutto da animali e assume molto raramente carboidrati, il midollo era sicuramente una risorsa irrinunciabile, quando disponibile. I ricercatori hanno ipotizzato che gli uomini che vivevano a Qesem Cave, nel Paleolitico, avessero avuto l’intuizione di lasciare il midollo nelle ossa non spellate dei daini per poi consumarlo a distanza di tempo. Sarebbe stato possibile farlo, preservandone i valori nutrizionali ed evitando la putrefazione? Questo è il genere di domande a cui risponde l’archeologia sperimentale, quindi gli scienziati hanno riprodotto le condizioni passate per verificare la teoria ricavata dai dati raccolti.

 

Sono state ricreate le condizioni di taglio e conservazione delle estremità delle zampe dei daini, controllando i tempi di esposizione, i parametri ambientali (ad esempio, temperatura e umidità) e sono state effettuate analisi chimiche. I risultati hanno dimostrato che è possibile conservare in quel modo il midollo da 1 a 9 settimane. Avi Gopher, coautore dell’articolo pubblicato su Science Advances in cui è descritta la ricerca, ha commentato: “Abbiamo mostrato per la prima volta nel nostro studio che tra i 420.000 e i 200.000 anni fa, gli esseri umani preistorici di Qesem Cave erano abbastanza sofisticati, abbastanza intelligenti e abbastanza abili da sapere che era possibile conservare particolari ossa di animali sotto specifiche condizioni e, quando necessario, rimuoverne la pelle, spaccare l’osso e mangiarne il midollo”.

 

Questa è una scoperta di grande rilievo in quanto è la prima testimonianza di conservazione e consumo successivo di cibo, un comportamento significativo dal punto di vista socio-economico che segna un passo in avanti nella capacità di adattamento degli esseri umani, la chiave della nostra evoluzione (come di quella degli altri esseri viventi).

 

Il midollo, quindi, riusciva a preservare le proprie caratteristiche nutrizionali anche per 9 settimane. Ma quale doveva essere il suo sapore? Jordi Rosell, archeologo spagnolo e coautore dello studio, ha voluto dare dimostrazione della validità delle conclusioni raggiunte e ha assaggiato il midollo preparato durante gli esperimenti. Alla redazione del New York Times Science ha dichiarato: “È come una salsiccia insipida, senza sale e un po’ stantia. Posso dire che il suo sapore non è così male, forse un po’ più rancido nelle ultime settimane, ma non male”. Sarà, ma io mi tengo stretta la mia scatoletta di tonno del XXI secolo!

 

Credits immagine: Dr. Ruth Blasco/AFTAU

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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