L’antica città di Porto (Portus Romae) fu, tra il I e il VI secolo d.C. la porta di accesso dell’Impero Romano verso il Mediterraneo. Un centro nevralgico per il commercio i cui resti sono stati studiati da un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge al fine di ricostruire quella che era la vita delle persone che lì vivevano, lavoravano e morivano. La ricerca, pubblicata nella rivista Antiquity, si focalizza sulla dieta della comunità presente. A cosa può servire sapere quale fosse l’alimentazione di questa gente di mare? Come già avevo affermato in un precedente articolo, molte volte siamo ciò che mangiamo, sia in termini di individui che di società.
L’antica città di Porto (Portus Romae) fu, tra il I e il VI secolo d.C. la porta di accesso dell’Impero Romano verso il Mediterraneo. Un centro nevralgico per il commercio i cui resti sono stati studiati da un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge al fine di ricostruire quella che era la vita delle persone che lì vivevano, lavoravano e morivano. La ricerca, pubblicata nella rivista Antiquity, si focalizza sulla dieta della comunità presente. A cosa può servire sapere quale fosse l’alimentazione di questa gente di mare? Come già avevo affermato in un precedente articolo, molte volte siamo ciò che mangiamo, sia in termini di individui che di società.
Porto, come suggerisce il nome, era il porto marittimo della Roma imperiale. Fu fondata vicino alla foce del fiume Tevere per volontà di Claudio dopo il 42 d.C. e conobbe una sostanziale espansione grazie a Traiano (112-117 d.C.). Per oltre 400 anni, fino al VI secolo, fu il filtro per le importazioni dai territori del Mediterraneo a Roma e il fulcro per l’esportazione di prodotti provenienti dalla valle del Tevere e per la loro ridistribuzione, sempre nel Mar Mediterraneo. Ci sono però momenti della storia di questo luogo ancora poco chiari. Per raccogliere qualche indizio della vita degli abitanti di Porto nei periodi più nebulosi, gli scienziati hanno impiegato gli strumenti dati loro da archeobotanica, archeozoologia e dall’analisi degli isotopi per ricostruire la dieta degli abitanti di Portus Romae. Fare questo significa comprenderne le condizioni, i legami sociali e le origini, tutti fattori in grado di poterci fornire prove per legare la quotidianità di quelle persone alla “Grande Storia”.
Quali sono stati i risultati degli esami effettuati sui resti vegetali, animali e umani rinvenuti a Porto? Tra l’inizio del II e la metà del V secolo la popolazione locale doveva essere impegnata in pesanti lavori manuali e, nei primi anni del III secolo, ci si nutriva principalmente di particolari cereali e olio d’oliva importato dall’Africa settentrionale, insieme a una grande varietà di vegetali e animali comuni. Nonostante ci si aspettasse che la dieta di questi uomini differisse da quella di gruppi di più alto status sociale, non vi è prova di tale presunto divario. In seguito, c’è stata una modifica nell’origine dei grani, probabilmente dovuta a un cambiamento nelle condizioni di importazione dal Nord Africa. Tra la metà del V e le la prima parte del VI secolo, studiando le sepolture, ci si è accorti che i corpi appartenevano nella maggior parte dei casi a uomini che svolgevano lavori fisici duri. Avevano tutti provenienza locale tranne due, forse commercianti venuti dall’estero. In questo periodo, in termini nutrizionali, c’è stata una variazione, dalle proteine animali si è passati a quelle vegetali, legumi, con poco cibo di mare. Anche l’origine dei cereali consumati non è stata più la stessa e altre tipologie, tra cui il farro, sono divenute più abbondanti e ubiquitarie per ragioni non ancora del tutto chiare. Era presente, però, un nutrito gruppo di piante commestibili e alcuni prodotti esotici. Un esempio è il pepe nero, che giungeva a Roma dall’India attraverso l’Egitto.
Questi cambiamenti nella dieta delle popolazioni locali cosa significano? L’autore principale dell’articolo pubblicato su Antiquity, Tamsin O’Connel, ha spiegato: “Verso la fine della metà del V secolo abbiamo visto una variazione nella dieta della popolazione locale, da una ricca di proteine animali e cereali importati, olio d’oliva, salsa di pesce e vino del Nord Africa, a una più simile alla ‘dieta del contadino’, costituita fondamentalmente da proteine vegetali consumate sotto forma di zuppe e stufati. Stavano svolgendo lo stesso tipo di lavoro manuale e faticoso ma il loro sostentamento proveniva da fagioli e lenticchie”. O’Connel ha proseguito: “Questo è il periodo temporale successivo al sacco dei Vandali del 455. Stiamo vedendo chiare modificazioni negli alimenti importati e nella dieta, con il passare del tempo, che sono in relazione con cambiamenti commerciali e politici cha hanno seguito il crollo del controllo romano sul Mediterraneo. Siamo in grado di osservare gli effetti politici finendo nella rete degli approvvigionamenti. La politica e le risorse sono entrambe variate nello stesso momento storico“.
Conoscere le abitudini alimentari di una determinata popolazione in uno specifico intervallo temporale non è solo soddisfare una curiosità legata al passato ma è un valido supporto per dare un quadro più chiaro della situazione sociale e geopolitica di un’epoca. Non è ridurre la storia dei grandi personaggi a quella della quotidianità della “massa” ma mostrare come le due cose siano indissolubilmente intrecciate.
Credits immagine: foto di Leigh Patrick da Pexels
