Skip to main content

11 Lug 2016

Jeni, la sacerdotessa venuta da lontano. Studiare la mummificazione con la TAC

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
Leggi gli altri articoli

Home Rubriche Scienza e beni culturali

Il bel volto che potete osservare nell’immagine è appartenuto a Tjetmutjengebtiu, una sacerdotessa del Tempio di Karnak, in Egitto, vissuta durante la XXII dinastia (945-715 a.C.). Le sue spoglie furono mummificate e ora il suo corpo giace in un sarcofago conservato in una delle teche del British Museum di Londra. Voi lettori siete già abituati alle ricostruzioni di volti a partire da crani ritrovati in scavi archeologici. In questo caso, però, è stato diverso perché lo studio delle ossa di Jeni – chiamata così dagli scienziati che si sono occupati di lei – è stato possibile senza la necessità di disturbare il sonno eterno di questa donna venuta da lontano, senza srotolare quelle bende che l’hanno protetta per millenni.

 

Ricostruzione artistica del volto di Jeni disegnato da Maureen Hart. Jeni, il cui vero nome è Tjetmutjengebtiu, è una sacerdotessa vissuta durante la XXII dinastia, la cui mummia è conservata nelle stanze del British Museum, a Londra. Fonte: Hughes, Stephen W. (2010) Unwrapping an ancient Egyptian mummy using x-rays. Physics Education, 45(3)

 

Il bel volto che potete osservare nell’immagine è appartenuto a Tjetmutjengebtiu, una sacerdotessa del Tempio di Karnak, in Egitto, vissuta durante la XXII dinastia (945-715 a.C.). Le sue spoglie furono mummificate e ora il suo corpo giace in un sarcofago conservato in una delle teche del British Museum di Londra. Voi lettori siete già abituati alle ricostruzioni di volti a partire da crani ritrovati in scavi archeologici. In questo caso, però, è stato diverso perché lo studio delle ossa di Jeni – chiamata così dagli scienziati che si sono occupati di lei – è stato possibile senza la necessità di disturbare il sonno eterno di questa donna venuta da lontano, senza srotolare quelle bende che l’hanno protetta per millenni.

 

Come fare a conoscere cosa si nasconde dietro a sarcofagi e bende senza distruggerli? Una risposta arriva direttamente dalla medicina: la TAC, tomografia assiale computerizzata, è da anni adoperata, insieme alle radiografie, per andare oltre la superficie in maniera non distruttiva. È questo lo strumento che permette ai conservatori di tutto il mondo di studiare i segreti della mummificazione e la storia di quei corpi che l’opera del Tempo ha risparmiato.

 

Tutti noi abbiamo sentito parlare almeno una volta dell’uso degli Antichi Egizi di imbalsamare i corpi dei defunti al fine di preservarli e permettere loro una vita dopo la morte. La mummificazione consente di estrarre fluidi dai tessuti per prevenirne il decadimento. In Egitto le prime mummie andarono incontro a un processo naturale di conservazione: prima del 3000 a.C., in età predinastica, i morti erano seppelliti nella sabbia rovente e asciutta del deserto e le carni andavano incontro a essiccamento naturale. In seguito, l’introduzione di vere e proprie tombe rese necessario lo sviluppo di un procedimento artificiale che portasse alla conservazione del corpo.

 

Come scoprire le “ricette” degli imbalsamatori egizi? I protocolli, i materiali utilizzati, gli amuleti che accompagnavano il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà? Come fare a conoscere Jeni, il suo aspetto, l’età in cui è deceduta? Ecco che in aiuto dei ricercatori arriva questa tecnica ormai di routine negli ospedali: la Tomografia assiale computerizzata, meglio conosciuta come TAC.

 

 

Il video mostra il funzionamento della TAC e paragona questo tipo di analisi medica alle tomografie sismiche dei geologi. Fonte: The Iris Consortium – Incorporated Research Institution for Seismology

 

LA TAC è una tecnica non distruttiva che permette di visualizzare l’interno di oggetti solidi – nel nostro caso un corpo umano – e ottenere informazioni riguardanti la loro geometria e le loro proprietà, ossia la forma e il materiale di cui sono fatti. In particolare, un fascio di raggi X ruota intorno al corpo e la risposta all’interazione tra la materia e la radiazione è in seguito elaborata da software che inizialmente forniscono delle immagini in due dimensioni, delle fette di ciò che stiamo analizzando. Queste sono delle sezioni così sottili che, messe insieme, riescono a fornirci una fedele ricostruzione in 3D di ciò che è nascosto ai nostri occhi.

 

Jeni BritishMuseum

Il sarcofago di Tjetmutjengebtiu, British Museum, Londra. Fonte: Hughes, Stephen W. (2010) Unwrapping an ancient Egyptian mummy using x-rays. Physics Education, 45(3)

 

LA TAC cosa ci ha raccontato di Jeni? Abbiamo saputo che è morta in un’età compresa tra i 19 e i 23 anni grazie allo studio delle caratteristiche della sua dentatura, che il suo corpo è stato inizialmente svuotato dagli organi interni, con eccezione del cuore, per poi essere ricomposto con gli stessi organi a loro volta imbalsamati e avvolti in bende, e che i suoi tessuti sono stati disseccati con il Natron (carbonato idrato di sodio, un sale). Abbiamo appreso che il lino che avvolgeva le sue membra, lavorate con oli e resine, nascondeva numerosi amuleti, ciascuno di un differente materiale, ciascuno avente una forma diversa per un diverso significato.

 

Quella dedicata a Jeni è una ricerca del 1994 ma nuovi e interessanti sviluppi sono stati raggiunti grazie ai progressi tecnologici in questo ambito: si è riusciti a osservare in dettaglio gli oggetti presenti sulle mummie, distinguendo gli amuleti da oggetti che possono essere connessi con le cause di morte o, ancora, è stato possibile approfondire i motivi di decesso naturale esaminando il sistema cardiovascolare delle mummie dell’Antico Egitto.

 

Mi auguro che la bella Tjetmutjengebtiu, sorpresa dagli occhi della scienza nel suo sonno millenario, ci perdoni per questi sguardi tra la vita e la morte che rubiamo per procedere di qualche passo nell’impervio e infinito sentiero che l’Umanità percorre ogni giorno verso la Conoscenza.

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
DELLO STESSO AUTORE

© 2024 Edizioni Dedalo. Tutti i diritti riservati. P.IVA 02507120729