Cosa ci fa del pigmento blu, il prezioso lapislazzuli, nel tartaro di una suora tedesca vissuta tra l’XI e il XII secolo? Un ritrovamento del tutto inaspettato che, però, sembra rafforzare la tesi per cui i monaci non fossero i soli a dedicarsi alla miniatura nel Medioevo e che anche le donne potessero essere delle apprezzate artiste.
Cosa ci fa del pigmento blu, il prezioso lapislazzuli, nel tartaro di una suora tedesca vissuta tra l’XI e il XII secolo? Un ritrovamento del tutto inaspettato che, però, sembra rafforzare la tesi per cui i monaci non fossero i soli a dedicarsi alla miniatura nel Medioevo e che anche le donne potessero essere delle apprezzate artiste.
La scoperta è nata quasi per caso: un gruppo di ricercatori stava analizzando il tartaro rinvenuto sui resti di una donna, morta tra i 45 e i 60 anni, seppellita presso un complesso monastico medioevale, nel sito di Dalheim, vicino Lichtenau (Germania). Una suora che, secondo la datazione con il radiocarbonio, sarebbe vissuta tra il 997 e il 1162 d.C. Una persona sana le cui ossa non mostravano segni di pesanti lavori manuali.
I depositi di placca batterica del passato possono rivelare dettagli della dieta attraverso i resti vegetali o animali in essi nascosti ma ecco che, quando è iniziata la procedura di analisi, gli scienziati si sono trovati davanti a particelle di color blu. Sostituendo gli acidi con la sonicazione (un bagno con acqua distillata sottoposta a ultrasuoni) per isolare e non alterare i granuli colorati, si è potuto procedere all’esame al microscopio ottico, al microscopio elettronico a scansione e all’analisi con la spettroscopia micro-Raman per capire l’origine di quei granelli color cielo.
Ingrandimento delle particelle di lapislazzuli incorporate nel calcolo dentale (tartaro) medioevale. Credits: Monica Tromp – A. Radini, M. Tromp, A. Beach, E. Tong, C. Speller, M. McCormick, J. V. Dudgeon, M. J. Collins, F. Rühli, R. Kröger, C. Warinner, Medieval women’s early involvement in manuscript production suggested by lapis lazuli identification in dental calculus, Science Advances09 Jan 2019 : eaau7126
Le indagini hanno indicato la presenza di due minerali: la flogopite, un fillosilicato bruno-giallastro, (KMg3(Si3Al)O10(OH)2) e la lazurite, un tectosilicato di uno splendente blu ((Na,Ca)8(SO4,S,Cl)2(AlSiO4)6). Entrambi sono costituenti di una roccia molto famosa nel mondo dell’arte: il lapislazzuli, proveniente dall’Afghanistan, adoperato come pigmento in pittura. Un materiale molto costoso, in alcuni periodi storici quanto se non di più dell’oro, affidato da ricchi mecenati a mani esperte per l’esecuzione di affreschi o, in questo caso, di miniature.
Cosa ci fanno dei granelli di lapislazzuli nel tartaro di una suora? Le ipotesi avanzate dai ricercatori nell’articolo pubblicato su Science Advances sono quattro. Partiamo dalla più suggestiva, quella che riscriverebbe in parte la storia delle donne nell’arte medioevale: le particelle si sono depositate tra i denti nel tentativo di affinare la punta di un pennello, utilizzato nella miniatura per la stesura del colore, con la bocca. Un gesto usuale per molti artisti e per la protagonista di questo studio che, quindi, sarebbe stata coinvolta nella produzione di manoscritti miniati. Le fonti storiche hanno già riportato casi simili, sebbene un gran numero di opere su libri non fossero firmate o fossero attribuibili a monaci. La dimensione delle particelle è compatibile con quella necessaria a preparare il colore da stendere, l’accumulo al di sotto di incisivi e canini sosterrebbe l’azione del “far la punta al pennello”.
Il tartaro in cui sono stati ritrovati granelli di lapislazzuli sulla mandibola della donna medioevale. Credits: Christina Warinner – A. Radini, M. Tromp, A. Beach, E. Tong, C. Speller, M. McCormick, J. V. Dudgeon, M. J. Collins, F. Rühli, R. Kröger, C. Warinner, Medieval women’s early involvement in manuscript production suggested by lapis lazuli identification in dental calculus, Science Advances09 Jan 2019 : eaau7126
Ci sono altre tre possibili spiegazioni per queste inclusioni nel calcolo dentale. La donna non adoperava il pigmento ma lo preparava e la particelle sono arrivate all’interno della bocca per inalazione accidentale delle polveri, più che possibile durante la macinazione della roccia e la lavorazione successiva. È necessario però capire se in Europa centrale, a quei tempi, non arrivasse il pigmento già confezionato per l’utilizzo diretto.
Il lapislazzuli poteva essere stato ingerito a scopo medico: esistono scritti che ne attestano questo uso ma le prove della diffusione nella Germania dell’XI-XII secolo della pratica medica mediterranea e islamica di assumere il pigmento blu sono scarse. Infine c’è la teoria dell’osculazione, ossia il baciare le figure dipinte nei testi religiosi a scopo devozionale. Questa rito iniziò a diffondersi nel XIV-XV secolo e, proprio per evitare che le miniature fossero danneggiate, gli artisti cominciarono a realizzare dei veri e propri spazi dedicati all’osculazione, per far sì che lo strato pittorico delle piccole opere d’arte non fosse rimosso dai continui baci dei fedeli. È possibile che il lapislazzuli sia finito in questo modo nel tartaro della donna analizzata dai ricercatori? Sebbene questa ricostruzione sia credibile, la pratica devozionale non era presente nel XI-XII secolo, periodo a cui risale lo scheletro. Inoltre, in questo caso, anche altri materiali sarebbero finiti nel tartaro della devota, ma ciò non è stato osservato.
Anche le donne, nel Medioevo, potevano essere artiste rinomate, richieste per la realizzazione di pregevoli miniature? Forse è un po’ presto per affermarlo con certezza ma questa ricerca ci regala tanti altri spunti di riflessione. A proposito dell’intreccio tra la storia personale della protagonista dello studio e il contesto in cui viveva, Michael McCormick, storico della Harvard University e coautore dell’articolo ha spiegato: “Era inserita in una rete commerciale globale estesa, che partiva dalle miniere in Afghanistan fino a giungere da lei, nella comunità medioevale tedesca, attraverso le metropoli del commercio dell’Egitto islamico e la Costantinopoli bizantina. L’economia in crescita dell’Europa dell’XI secolo richiedeva con entusiasmo il prezioso e raffinato pigmento che viaggiava per migliaia di miglia attraverso i caravan dei mercanti e le navi per servire l’ambizione creativa di questa donna”. Christina Warinner, coautrice, ha aggiunto, parlando dei risultati raggiunti: “Qui abbiamo la prova diretta che una donna non solo dipingesse, ma lo facesse con un pigmento molto raro e costoso, in un luogo veramente molto isolato. La storia di questa donna sarebbe rimasta nascosta per sempre senza l’uso di queste tecniche. Ciò mi fa riflettere su quanti altri artisti potremmo trovare nei cimiteri medioevali, se solo li cercassimo”.
