Le profondità marine sono spesso custodi di tesori inesplorati e testimoni di scoperte straordinarie. È questo il caso della distesa cristallina che circonda l’isola di Antikythera, in Grecia, a nord-ovest della più famosa Creta. Agli inizi del ‘900 un gruppo di pescatori di spugne segnalarono la presenza di un relitto che, da allora, continua a fornire agli archeologi materiali di studio d’eccezione. In questo post rimbalzeremo tra la scienza del passato e del presente, conosceremo uno strumento hi-tech di ben 2000 anni fa e capiremo come alcuni siti archeologici possano essere la spinta per lo sviluppo di nuove tecniche analitiche.
Costa di Antikythera. Fonte: greciamia.it
Le profondità marine sono spesso custodi di tesori inesplorati e testimoni di scoperte straordinarie. È questo il caso della distesa cristallina che circonda l’isola di Antikythera, in Grecia, a nord-ovest della più famosa Creta. Agli inizi del ‘900 un gruppo di pescatori di spugne segnalarono la presenza di un relitto che, da allora, continua a fornire agli archeologi materiali di studio d’eccezione. In questo post rimbalzeremo tra la scienza del passato e del presente, conosceremo uno strumento hi-tech di ben 2000 anni fa e capiremo come alcuni siti archeologici possano essere la spinta per lo sviluppo di nuove tecniche analitiche.
Antikythera non è nuova nelle cronache archeologiche. Nel relitto, una nave del I secolo a.C. destinata al commercio di beni di lusso per i ricchi cittadini di Roma, è stato ritrovato un oggetto molto particolare. Si tratta della Macchina di Antikythera. I subacquei ritrovarono tra i resti alcuni ingranaggi metallici che, studiati da astrofisici e astronomi, si rivelarono parte di uno strumento molto complesso, in grado di calcolare e mostrare informazioni riguardanti il moto dei pianeti intorno al Sole e le fasi lunari. Un orologio astronomico, quasi un computer ante litteram, che dimostrò la grandezza tecnologica e culturale raggiunta dalla civiltà greca più di due millenni fa.
Modello virtuale del Meccanismo di Antikythera realizzato da Michael Wright e Mogi Vicentini. Fonte: www.antikythera-mechanism.gr
La nave fu studiata e divenne oggetto di esplorazione anche per il celebre oceanografo Jacques Cousteau nell’ormai lontano 1976. Ma le sorprese non erano evidentemente finite. Pochi mesi fa, per l’esattezza il 31 agosto 2016, è stato trovato uno scheletro umano sepolto sotto frammenti di ceramica e sabbia. Cosa aggiunge questo allo già straordinario bagaglio di dati che questo sito ci ha donato? Queste ossa potrebbero essere così ben conservate da permettere per la prima volta l’estrazione e il sequenziamento di DNA di un corpo rimasto sommerso per più di 2000 anni.
La prima volta? Conosciamo tante storie di relitti sommersi e mai si è riusciti ad analizzare con successo il DNA di tracce umane? In realtà i ritrovamenti risalgono a epoche recenti – parliamo del XVI e del XVII secolo -, inoltre è sempre stato difficile trovare i resti dei naufraghi che, per lo più, venivano dispersi dalle correnti marine, sottoposti ad alterazione di tipo chimico, fisico o biologico o, banalmente, divorati dai pesci. In questo caso uno strato di sedimenti ha protetto il corpo di uno dei viaggiatori e, il suo cranio con tre denti o i femori, potrebbero contenere abbastanza DNA intatto e non contaminato, tanto da poter analizzarne le sequenze del genoma e usare questo dato per la ricostruzione dei movimenti delle popolazioni del passato. Anche questo è il contenuto nascosto nei cromosomi degli esseri umani.
Gli studiosi, quindi, potrebbero riuscire a conoscere la provenienza di questa vittima del mare. Significative le parole di Hannes Schroeder, l’esperto di DNA antico del Museo di Storia Naturale di Danimarca che si occuperà delle analisi genetiche, secondo quanto riportato in un articolo della rivista Nature: “Chi erano quelle persone che hanno attraversato il Mediterraneo 2000 anni fa? Forse uno di loro era l’astronomo a cui apparteneva la Macchina di Antikythera”.
