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29 Ott 2018

Parassiti, dalle latrine i testimoni dei cambiamenti delle società medioevali

Alessia Colaianni

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L’archeologia non è solo grandiosi monumenti, romantici ruderi e preziosi reperti. Molto spesso è necessario “pescare nel torbido” per cercare di ricostruire il nostro passato e, in un recente studio pubblicato dalla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B – Biological Sciences, è stato fatto letteralmente: le feci conservate in latrine medioevali hanno protetto sino ai giorni nostri le uova di alcuni parassiti che avevano infestato la gente del tempo. Ma cosa ci possono dire questi fastidiosi compagni delle società vissute secoli fa?

L’archeologia non è solo grandiosi monumenti, romantici ruderi e preziosi reperti. Molto spesso è necessario “pescare nel torbido” per cercare di ricostruire il nostro passato e, in un recente studio pubblicato dalla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B – Biological Sciences, è stato fatto letteralmente: le feci conservate in latrine medioevali hanno protetto sino ai giorni nostri le uova di alcuni parassiti che avevano infestato la gente del tempo. Ma cosa ci possono dire questi fastidiosi compagni delle società vissute secoli fa?

 

La parassitologia umana è la disciplina che studia i parassiti, organismi che si avvantaggiano, dal punto di vista metabolico e fisiologico, dell’individuo (vegetale, animale o umano) che li ospita e che risulterà danneggiato da tale associazione. Tra i parassiti ritroviamo i protozoi, gli artropodi e gli elminti (genericamente chiamati vermi, tra cui figura la tenia, il verme solitario). Le modalità di trasmissione all’uomo dei vermi parassiti variano da specie a specie. La più comune è l’ingestione delle larve mediante assunzione di cibo (come le carni suine, bovine o i pesci) mangiato crudo o inadeguatamente cotto, e l’ingestione delle loro uova presenti nelle feci. Gli elminti svolgono un’azione dannosa nell’ospite che, anche se grave, non arriva quasi mai a determinarne la morte. Essi sono dei passeggeri che rimangono all’interno dell’uomo per anni spargendo le loro uova attraverso le feci dell’ospite infetto. Anche se l’analogia risulta a tratti disgustosa, sono queste le “briciole di Hansel e Gretel” che hanno permesso ai ricercatori di scoprire le modifiche delle abitudini alimentari e i cambiamenti socio-economici delle popolazioni oggetto di studio.

 

Gli scienziati del Dipartimento di Zoologia e della Scuola di Archeologia dell’Università di Oxford hanno adoperato un approccio multidisciplinare, combinando archeologia, genetica e microscopia, per capire quali fossero la dieta, le condizioni igieniche e i commerci nel territorio della Lega anseatica, un’associazione di città tedesche, tra cui figuravano Lubecca, Amburgo e Brema, costituita per consolidare i loro privilegi commerciali nel Baltico e nel Mare del Nord, attiva tra la fine del XIII e il XVII secolo. Sono state analizzate le uova di elminti contenute in 152 campioni datati tra il Neolitico (circa 3600 a.C.) e l’epoca post medioevale (XVII secolo), scovate in reperti raccolti nelle latrine di sei siti archeologici sparsi nel Regno Unito, in Germania, nella Repubblica Ceca e in Svizzera. Tra questi luoghi spicca sicuramente Lubecca: una delle città più influenti nei commerci dell’epoca e centro fondatore della Lega anseatica.

 

Proprio le uova di elminti – nematodi (vermi cilindrici) e cestodi (vermi piatti) – raccolte a Lubecca hanno svelato importanti dettagli della vita della città. Attraverso il riconoscimento delle specie grazie all’osservazione microscopica delle uova e alle analisi del DNA antico, perfettamente preservato, è stato dimostrato che vi era un alto numero di cestodi a Lubecca. Questo cosa significa? Poiché il pesce di acqua dolce è una sorgente di questi parassiti, è stato possibile dedurre che a Lubecca la dieta fosse basata su questo alimento e che non venisse cotto (una pratica distintiva rispetto ad altre regioni).

 

Non è tutto. Ulteriori analisi hanno rivelato che, intorno al 1300-1325, il parassita prevalente non era più quello derivante dall’assunzione di pesce poco cotto, ma un’altra specie che può essere ingerita attraverso la carne di vitello (sempre quasi cruda). Questo indica un cambiamento nel regime alimentare, nella cultura gastronomica e nelle fonti di cibo. Adrian Smith, ricercatore e autore dello studio, ha commentato: “Questo nuovo approccio potrebbe essere decisivo in quanto strumento indipendente da artefatti per lo studio delle civiltà passate. Le feci umane non erano commerciate ma i parassiti che vivono negli esseri umani per 10 anni o più sono stati depositati ovunque essi siano andati”. I dati scientifici coincidono con ciò che viene raccontato dalla documentazione storica, come spiega ancora Smith: “La gente di Lubecca potrebbe aver smesso di mangiare pesce di acqua dolce crudo o aver interrotto il ciclo di vita del cestode. È interessante che la modifica delle abitudini alimentari coincida con l’incremento di attività di conceria e macellazione nella parte delle acque dolci di Lubecca e l’inquinamento potrebbe aver interferito con il ciclo di vita del parassita del pesce”.

 

Ci sono anche altri scenari che potrebbero giustificare il passaggio da un parassita all’altro: la filiera del pesce d’acqua dolce potrebbe essere stata influenzata da altri fattori quali la conversione di un monastero benedettino in un convento cistercense e il ricollocamento dei monaci benedettini intorno al 1245-1247 in un’altra zona. Poiché il monastero possedeva i diritti di pesca potrebbe aver interrotto la disponibilità di pesce contaminato all’interno della città. È anche possibile che la disponibilità di pescato locale sia diminuita a causa del calo del numero di pescatori dovuta alla Peste Nera (1346-1350) o da mutamenti nei modelli commerciali.

 

Il DNA antico dei nematodi ritrovati nei siti archeologici in questione ha, inoltre, aiutato gli studiosi a stabilire che a Lubecca vi fosse una popolazione di parassiti estremamente diversificata, dimostrazione dell’importanza e dell’alto livello di connessioni tra questa città e gli altri centri. È significativo che il porto della Bristol medioevale fosse al secondo posto per varietà di specie di parassiti e che, sempre l’analisi del DNA, confermi un legame tra Bristol e Lubecca.

 

L’archeoparassitologia molecolare si mostra, quindi, un sentiero molto promettente, considerando che fino a poco tempo fa la parassitologia in ambito archeologico era adoperata unicamente per l’identificazione del parassita. A tal proposito, Adrian Smith ha sottolineato: “Possiamo usare questo approccio per conoscere tanto su luoghi specifici incluso il livello di igiene, la salute, le pratiche alimentari e le connessioni tra diversi siti. Ciò potrebbe rivestire particolare importanza per popolazioni per cui le classiche testimonianze storiche sono povere o insufficienti. La nostra ambizione è sviluppare una mappa ‘archeoparassitologica molecolare’ dell’Europa, nel tempo e nello spazio, utilizzando i parassiti per conoscere le popolazioni umane del passato”.

 

Immagine di copertina: scolice (organo di adesione) di Taenia solium (a, la specie che infesta i maiali e esseri umani) e di Taeniarhynchus saginatus (b, parassita dei bovini e degli umani). Credits: Hubert Ludwig, Schul-Naturgeschichte 1891, via Wikimedia Commons

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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