In archeologia ci sono quesiti che difficilmente trovano risposta con i tradizionali metodi di indagine. È per questo che un gruppo di ricercatori argentini e spagnoli ha utilizzato tecniche statistiche di machine learning per analizzare la relazione tra mobilità e tecnologia di gruppi di cacciatori-raccoglitori che hanno occupato il sud della Patagonia da 12.000 anni fa fino alla fine del XIX secolo. I risultati sono stati pubblicati in un articolo della rivista Royal Society Open Science.
In archeologia ci sono quesiti che difficilmente trovano risposta con i tradizionali metodi di indagine. È per questo che un gruppo di ricercatori argentini e spagnoli ha utilizzato tecniche statistiche di machine learning per analizzare la relazione tra mobilità e tecnologia di gruppi di cacciatori-raccoglitori che hanno occupato il sud della Patagonia da 12.000 anni fa fino alla fine del XIX secolo. I risultati sono stati pubblicati in un articolo della rivista Royal Society Open Science.
L’identificazione dei gruppi umani e dei legami sociali che tra loro intercorrono attraverso lo studio della cultura materiale è alla base dell’archeologia. Cos’è la cultura materiale? Prendendo in prestito la definizione che ci dà l’enciclopedia Treccani, è “espressione con la quale si indicano tutti gli aspetti visibili e concreti di una cultura, quali i manufatti urbani, gli utensili della vita quotidiana e delle attività produttive”, tutti quegli oggetti che sono stati prodotti e che hanno accompagnato i nostri predecessori giorno dopo giorno.
Manufatti in pietra, in osso o realizzati con conchiglie, le materie prime adoperate, le tecniche di produzione, lo stile e le decorazioni. Tutte prove che possono descrivere, se opportunamente lette, le caratteristiche delle civiltà passate. Indizi che, in questo caso, sono divenuti 187 variabili e dati di frequenza da far masticare a un computer per poter esplorare quantitativamente e comprendere le relazioni tra tipologie di mobilità, specifici tratti tecnologici e conoscenze condivise in comunità di cacciatori-raccoglitori, che si muovevano a piedi, e cacciatori-pescatori-raccoglitori che, invece, si spostavano per via marittima. Cosa significa in sintesi tutto questo? Agli archeologi interessava discriminare i due gruppi e costruire una mappa, distinguendo i siti occupati dall’una o l’altra società e quei luoghi che, invece, erano probabilmente punti di incontro tra i due mondi, aree di interazione.
I Selk’nam, un esempio di un gruppo più “pedestre”, senza tecnologia nautica, nonostante le risorse marine fossero sfruttate intensivamente da coloro che vivevano vicino alla costa. Credits: C. W. Furlong (January 1908) courtesy of the End of the World Museum (Ushuaia, Argentina).
Come applicare il machine learning all’archeologia? Il machine learning è un ambito dell’intelligenza artificiale che si basa sulla capacità dei sistemi di imparare dai dati, identificare modelli autonomamente e prendere decisioni con il minimo intervento dell’uomo. In questa ricerca veniva chiesto ai calcolatori di migliorare degli algoritmi di classificazione in grado di distinguere le due tipologie di gruppi attraverso le caratteristiche tecnologiche ossia gli attributi della loro cultura materiale. Per “allenare” le macchine, affinché fossero capaci di far questo, è stato necessario fornire loro un elevatissimo numero di informazioni: un database ricavato da oltre 250 pubblicazioni, report ufficiali e manoscritti appartenenti a 201 siti archeologici della Patagonia meridionale, su cui è stato necessario lavorare per uniformare il linguaggio, rendendolo adatto all’elaborazione. Ecco come i big data possono entrare a far parte dei metodi per studiare il passato.
Ivan Briz i Godino, archeologo del National Council for Scientific and Technical Research (CONICET) e coautore dell’articolo ha spiegato: “È grazie agli algoritmi di classificazione automatica che abbiamo identificato due blocchi tecnologici o “paesaggi”: uno che caratterizza i gruppi di cacciatori-raccoglitori pedestri (con i loro strumenti in pietra e osso) e un altro che caratterizza quelli che hanno una tecnologia nautica, come canoe, arpioni e conchiglie di molluschi usate come perline”. Briz ha aggiunto: “Negli scavi futuri, quando troveremo set di elementi tecnologici come quelli che abbiamo rilevato, saremo in grado di dedurre direttamente il tipo di mobilità del gruppo o le connessioni con le altre comunità”. I risultati hanno portato anche a descrivere quella mappa di cui avevamo accennato, per mezzo della quale sono state individuate regioni in cui le due comunità hanno interagito e condiviso le proprie conoscenze tecnologiche.
Paesaggi tecnologici di mobilità nautica (i pallini rossi con alcuni blu che sono quelli classificati peggio dall’algoritmo) e mobilità pedestre (pallini arancioni e porpora) nei gruppi di cacciatori-raccoglitori che hanno vissuto nell’estremo sud dell’America meridionale. Credits: Ivan Briz i Godino, Virginia Ahedo, Myrian Álvarez, Nélida Pal, Lucas Turnes, José Ignacio Santos, Débora Zurro, Jorge Caro, and José Manuel Galán, Hunter–gatherer mobility and technological landscapes in southernmost South America: a statistical learning approach. Royal Society Open Science – http://doi.org/10.1098/rsos.180906
Briz ha concluso: “L’archeologia tradizionale identifica siti, società e i possibili contatti tra loro sulla base di elementi specifici selezionati da specialisti (ad esempio design della punta di un’arma o gli elementi decorativi), ma qui abbiamo mostrato che è più interessante analizzare set di elementi tecnologici come un unicum, adoperando le tecniche di intelligenza artificiale per permetterci di lavorare con ampi volumi di dati e senza pregiudizi soggettivi“. L’occhio esperto e le competenze di un archeologo non potranno mai essere sostituite ma, sicuramente, i big data potranno dare un grande supporto nelle indagini sul passato.
Immagine di copertina: esempio di gruppo con tecnologia nautica – Yámana nella missione anglicana di Bahía Tekenika (Tierra del Fuego), ritratti nel tardo XIX secolo o primo XX secolo. Darwin visse con loro durante il secondo viaggio della Beagle. Credits: Ivan Briz i Godino courtesy of the archives of the South American Missionary Society (United Kingdom)