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01 Ott 2018

Segni su pietra: Homo sapiens e le prime forme d’arte

Alessia Colaianni

Alessia Colaianni
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Una scheggia di un materiale simile a una roccia con dei segni incrociati di colore rosso. Un oggetto piccolo, delle dimensioni di pochi centimetri, che ha catturato l’attenzione degli archeologi che lo hanno ritrovato. Cosa avrà mai di speciale questo reperto? Potrebbe essere il disegno più antico eseguito da un Homo sapiens. Una prima forma di arte e di ragionamento simbolico? Dare una risposta a questo quesito è molto complesso e, per farlo, i ricercatori hanno svolto numerose analisi. I risultati ottenuti sono stati pubblicati su Nature.

Una scheggia di un materiale simile a una roccia con dei segni incrociati di colore rosso. Un oggetto piccolo, delle dimensioni di pochi centimetri, che ha catturato l’attenzione degli archeologi che lo hanno ritrovato. Cosa avrà mai di speciale questo reperto? Potrebbe essere il disegno più antico eseguito da un Homo sapiens. Una prima forma di arte e di ragionamento simbolico? Dare una risposta a questo quesito è molto complesso e, per farlo, i ricercatori hanno svolto numerose analisi. I risultati ottenuti sono stati pubblicati su Nature.

 

Il frammento di silcrete, suolo indurito le cui componenti sono cementate da silice, è stato ritrovato nella grotta di Blombos, un sito archeologico a circa 300 chilometri a est di Città del Capo, in Sudafrica. Gli scavi, iniziati nel 1991 e ancora in corso d’opera, hanno svelato un deposito ben stratificato dell’Età della Pietra, databile tra 100.000 e 72.000 anni fa, sovrastato a sua volta da dune di sabbia di 70.000 anni fa e da uno strato più recente di circa 2000 anni fa. La prima sezione ha rivelato punte foliate bifacciali, punteruoli in osso e punte di lancia, ciondoli fabbricati a partire dalle conchiglie di Nassarius krassianus e frammenti di ocra incisi con schemi ripetuti – pattern – geometrici, alcuni dei quali presentavano un chiaro disegno incrociato. Un altro piccolo tesoro disseppellito è stato un kit di strumenti risalente a 100.000 anni fa, composto da ocra, ossa di foca bruciate, carbone e altri materiali adoperati per produrre un composto liquido pigmentato, conservato in conchiglie di abalone. In questo contesto, così ricco di testimonianze, è stata ritrovata la scheggia di silcrete (probabilmente parte di un frammento più grande), di ben 73.000 anni fa, protagonista della ricerca.

 

BlombosCave disegno ocra2

 

La scheggia di silcrete con le nove linee tracciate con uno strumento in ocra (fotografie e schema). Credits: D’Errico/Henshilwood/Nature

 

La sua superficie presenta segni incrociati, nove linee tracciate con ematite, minerale di ferro contenuto nell’ocra rossa, dato confermato dalle analisi microscopiche e chimiche effettuate con il microscopio a scansione elettronica e da un profilometro, uno strumento utilizzato per misurare la rugosità di una superficie.

 

Queste informazioni ci danno solo i primi indizi di una possibile intenzionalità di quei tratti. È entrata, quindi, in campo l’archeologia sperimentale: gli scienziati hanno riprodotto le stesse linee utilizzando diverse tecniche, disegnando con frammenti di ocra aventi punte differenti o anche applicando con dei primitivi pennelli – costruiti schiacciando con una pietra un lato di un bastoncino in legno – il pigmento diluito con diverse quantità di acqua. Il confronto tra l’originale e le copie di laboratorio hanno confermato che le linee sono state disegnate intenzionalmente con un’ocra appuntita applicata su una superficie precedentemente resa liscia per sfregamento.

 

La scoperta, associata a tutti gli oggetti ritrovati nello stesso sito e nello stesso strato, anticipa la comparsa dei primi disegni astratti realizzati da Homo sapiens di 30.000 anni, considerando che i primi indizi conosciuti di rappresentazioni astratte e figurative provenienti da Europa, Africa e Asia sudorientale, indicatori di un comportamento e di processi cognitivi moderni, risalivano a 40.000 anni fa.

 

La questione, però, nonostante queste prove, è ancora molto dibattuta. Abbiamo già letto articoli riguardanti la preistoria e l’origine dell’arte e l’intenzionalità delle “opere” studiate è spesso messa in discussione da ragionevoli obiezioni. Anche in questo caso ci sono sostenitori e detrattori dello studio. Nelle pagine del sito dello Smithsonian Magazine, Rick Potts, direttore dello Smithsonian National Museum of Natural History’s Human Origins Program, afferma che la presenza del kit contenente materiali per produrre un composto colorato dimostri che i nostri antenati avessero abilità cognitive e sociali per disegnare su rocce e altre superfici. Invece, su National Geographic, Margaret Conkey, archeologa e professoressa emerita della University of California, pur riconoscendo l’ottimo lavoro svolto nell’indagine archeologica pubblicata su Nature e la valenza del sito di Blombos, sottolinea quanto tra arte e il semplice scarabocchiare vi sia un confine, alle volte, molto sottile (oltre a criticare una certa visione “afrocentrica” riguardante l’origine del comportamento moderno nell’uomo).

 

“Una rondine non fa primavera” e sarà necessario raccogliere altri pezzi del puzzle della storia dell’umanità per poter dare la giusta collocazione cronologica alla nascita dell’arte ma è quasi romantico pensare che disegno e colori siano stati nostri compagni da tempi così lontani, forse per aiutarci a superare le nostre paure (il significato rituale e simbolico tanto ricercato) e ad andare avanti lungo quel cammino che ci ha portati sin qui.

 

Immagine di copertina: dettaglio della superficie disegnata della scheggia di silcrete ritrovato nel sito archeologico di Blombos. Credits: D’Errico/Henshilwood/Nature

Alessia Colaianni
Alessia Colaianni
Giornalista pubblicista, si è laureata in Scienza e Tecnologia per la Diagnostica e Conservazione dei Beni Culturali e ha un dottorato in Geomorfologia e Dinamica Ambientale. Divulga in tutte le forme possibili e, quando può, insegna.
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