Come avrete capito l’età ottenuta grazie ai metodi di datazione ha dei margini di errore più o meno ampi e spesso necessita di ulteriori verifiche, siano esse di natura storica (documenti scritti), storico-artistica (ad esempio l’appartenenza ad un determinato stile, riconoscibile e codificato) o nuovamente scientifica, comparando i risultati raccolti con altre tecniche di indagine. La racemizzazione degli amminoacidi, per le sue caratteristiche intrinseche – di cui parleremo in questo post – può non essere spesso adoperabile per una risposta singola e indipendente ma è sicuramente utile per un confronto con il Radiocarbonio proprio perché applicabile a materiale organico. Ora vedremo di cosa si tratta.
Infografica di Maria Cristina Caggiani, autrice del blog Archeobaleni
Come avrete capito l’età ottenuta grazie ai metodi di datazione ha dei margini di errore più o meno ampi e spesso necessita di ulteriori verifiche, siano esse di natura storica (documenti scritti), storico-artistica (ad esempio l’appartenenza ad un determinato stile, riconoscibile e codificato) o nuovamente scientifica, comparando i risultati raccolti con altre tecniche di indagine. La racemizzazione degli amminoacidi, per le sue caratteristiche intrinseche – di cui parleremo in questo post – può non essere spesso adoperabile per una risposta singola e indipendente ma è sicuramente utile per un confronto con il Radiocarbonio proprio perché applicabile a materiale organico. Ora vedremo di cosa si tratta.
Tutti avrete sentito parlare di amminoacidi e proteine: viviamo in un’epoca in cui tanto si discute di nutrizione e avrete colto, in qualche articolo o trasmissione televisiva, questi due termini. Cerchiamo, però, di capire cosa siano e perché sono utili ai fini di una datazione. Gli amminoacidi sono i mattoncini che costituiscono catene di proteine – conosciute dalla maggior parte di noi come macronutrienti di origine vegetale o animale – e ne esistono 20 differenti tipi, i quali possono legarsi tra loro in varie combinazioni.
Fonte: http://www.compoundchem.com/
Potrete osservare dall’infografica e dall’immagine qui sopra, senza tuffarci troppo in profondità nel grande mare della chimica organica, che gli amminoacidi sono costituiti da un atomo di carbonio legato a sua volta a quattro gruppi di atomi differenti che si dispongono in un certo modo nello spazio. Sì, le molecole sono spesso rappresentate in maniera bidimensionale ma dobbiamo immaginarle in 3D, con posizioni che rispettano ingombri e forze repulsive.
Nella figura potrete scoprire anche che tutti gli amminoacidi – tranne la glicina, che è il più semplice – hanno un atomo di carbonio asimmetrico. Essi, in funzione di questo elemento, possono esistere sottoforma di due differenti stereoisomeri ossia molecole contenenti gli stessi elementi, nella stessa quantità, ma con disposizione spaziale diversa. I due stereoisomeri avranno una particolarità: non saranno sovrapponibili, proprio come non lo sono le nostre mani. Pensateci bene: hanno lo stesso tipo e numero di dita però non sono sovrapponibili. Se rivolgiamo i palmi verso il nostro sguardo capiremo un’altra caratteristica: sono speculari. Avremo quindi una nuova definizione con cui designare gli amminoacidi: essi sono chirali.
In chimica è detta chirale una molecola non sovrapponibile alla propria immagine speculare, nelle tre dimensioni. Due molecole identiche in tutto, salvo l’essere una l’immagine speculare dell’altra, tra loro non sovrapponibili, sono dette enantiomeri.
Cosa significa? I gruppi funzionali attaccati al carbonio asimmetrico degli amminoacidi sono tutti diversi e possono organizzarsi nello spazio in due modi diversi, in due isomeri ottici. Queste due forme sono conosciute come L- amminoacidi e D-amminoacidi, dove L e D indicano la direzione (levogira e destrogira) in cui una soluzione di questi amminoacidi ruota la luce polarizzata (radiazione particolare di cui avevamo già parlato qui).
Fonte: Ted-Ed Il video spiega cosa sia la chiralità.
Tutti gli amminoacidi delle proteine sono L- amminoacidi e tendono spontaneamente a mutare nella forma D. La forma D tende a ritornare L e alla fine si arriva a un punto di equilibrio, uno stato in cui ci sono quantità uguali di L e D. Questo processo è chiamato racemizzazione. Poiché gli amminoacidi delle proteine dei sistemi viventi sono nella forma L ma, dopo la morte della pianta o dell’animale, tendono a cambiare spontaneamente nella forma D, l’entità di questo fenomeno è adoperato come metodo di datazione.
A quali reperti potremmo applicare questa tecnica? Fortunatamente a un ampio spettro di fossili come molluschi, ossa, gusci di uova, denti. La racemizzazione è funzione del tempo e della temperatura (oltre che dell’umidità e pH del luogo in cui è conservato il reperto). La dipendenza da così tanti fattori, a volte difficilmente ricostruibili a partire dalle nostre conoscenze attuali, rappresenta un ostacolo non da poco.
Dopo questa piccola indigestione di chimica vi auguro una buona settimana e vi aspetto lunedì prossimo per raccontarvi dell’applicazione di questo strano metodo.