Questa settimana il nostro appuntamento è dedicato all’applicazione dell’ESR (Electron Spin Resonance – Risonanza di Spin Elettronico). Nel precedente post abbiamo cercato di capire quali fossero le caratteristiche principali di questo metodo di datazione e quest’oggi vedremo il suo contributo allo studio dell’evoluzione dell’Uomo.
Ricostruzione artistica di Homo erectus di John Gurche Fonte: humanorigins.si.edu
Questa settimana il nostro appuntamento è dedicato all’applicazione dell’ESR (Electron Spin Resonance – Risonanza di Spin Elettronico). Nel precedente post abbiamo cercato di capire quali fossero le caratteristiche principali di questo metodo di datazione e quest’oggi vedremo il suo contributo allo studio dell’evoluzione dell’Uomo.
Perché sia importante studiare l’evoluzione della specie umana è descritto magistralmente in questo articolo, intitolato “Why Every One Should Learn the Theory of Evolution”, pubblicato da Scientific American nel 2009, anniversario dei 200 anni dalla nascita di Charles Darwin. Come capire le modalità di adattamento della nostra specie a un ambiente che muta così velocemente come quello attuale senza studiare i meccanismi che hanno permesso all’uomo di arrivare sin qui?
In particolare, l’ESR è stata adoperata nella ricerca di cui parla l’articolo pubblicato nella rivista “Quaternary Science Reviews” del 2003, intitolato “ESR dating and the human evolution: contribution to the chronology of the earliest humans in Europe” di Christophe Falguères.
Questo metodo di datazione ha permesso di mettere insieme i vari pezzi del “puzzle” della storia dell’evoluzione umana. Nonostante le difficoltà incontrate per l’ESR su ossa e carbonati, c’è un materiale su cui la tecnica può dare risultati affidabili: lo smalto dei denti. Esso è costituito da più del 96% di idrossiapatite (Ca5(PO4)3(OH)), minerale che è a contatto con la dentina e il cemento. Il dente, quindi, è adoperato come un dosimetro che registra la radioattività naturale del campione stesso e dell’ambiente che lo circonda dal momento del seppellimento in poi.
Denti e quarzo hanno permesso di datare siti del Pleistocene Inferiore e Medio (si tratta di un intervallo di tempo compreso tra 2 milioni e mezzo a 126.000 anni fa circa). Le prime genti che migrarono dall’Africa all’Eurasia furono individui di Homo erectus. Questa specie apparve in Kenya e quindi si diffuse in altre parti dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa. In Asia la datazione del più antico Homo erectus rimane controversa in quanto la sua collocazione stratigrafica non è dimostrabile. Gli studiosi possono solo affermare che la datazione di uno degli strati corrisponde a 1,7 milioni di anni, considerabile un limite cronologico massimo per l’arrivo dell’Homo erectus. Le scoperte di resti umani in Spagna, in Italia e in Georgia hanno dato nuovo combustibile al dibattito riguardante i primi insediamenti umani, aprendo la possibilità che l’Homo erectus abbia avuto origine in Asia e non in Africa.
La combinazione tra ESR e altre tecniche su tessuti dentali e su quarzo riscaldato o esposto al sole e poi successivamente seppellito ha confermato età risalenti al Pleistocene Inferiore e Medio su 4 differenti siti archeologici – Monte Poggiolo e Visogliano (Italia), Atapuerca Gran Dolina (Spagna) e la valle del Creuse (Francia) – dimostrando che gli insediamenti europei risalgono a prima di 500.000 anni fa.
Chissà se quegli atavici viaggiatori potevano lontanamente immaginare che i loro denti avrebbero raccontato alle generazioni future la loro storia, fatta di lunghi viaggi alla conquista di terre remote e di ambienti sconosciuti. Quelle terre e quegli ambienti che oggi ospitano i discendenti di quegli antichi coloni: noi.