Siamo giunti alla quinta puntata della Dating Saga, il nostro viaggio alla scoperta dei numerosi metodi di datazione applicati in ambito archeologico. Oggi parleremo di una tecnica meno famosa delle precedenti: la protagonista di questo post è la Risonanza di Spin Elettronico (ESR).
Infografica realizzata da Maria Cristina Caggiani, autrice del blog Archeobaleni
Siamo giunti alla quinta puntata della Dating Saga, il nostro viaggio alla scoperta dei numerosi metodi di datazione applicati in ambito archeologico. Oggi parleremo di una tecnica meno famosa delle precedenti: la protagonista di questo post è la Risonanza di Spin Elettronico (ESR).
Prima di tutto cerchiamo di non farci intimorire dalle parole e concentriamoci sui fenomeni che ci permettono di adoperare questa tecnica per arrivare all’età di un reperto. Quali tipi di oggetti potremo quindi analizzare? La datazione mediante ESR può essere utilizzata su coralli, gusci di molluschi, stalattiti, stalagmiti, travertini ma anche sullo smalto dei denti di mammiferi, selci bruciate, quarzo che abbia subito un riscaldamento. L’intervallo di tempo indagabile è compreso tra poche migliaia e 1-2 milioni di anni. In questo caso, come nei precedenti, i limiti temporali sono indicativi e dipenderanno fortemente dal materiale e da numerosi fattori esterni.
Nella datazione ESR i minerali contenuti nei reperti da analizzare sono impiegati come veri e propri dosimetri – dispositivi che misurano la quantità di energia proveniente da radiazioni assorbita dalle persone che li indossano, ad esempio medici e infermieri che utilizzano i raggi X – che registrano la radioattività naturale dello stesso campione e dell’ambiente che lo ha circondato dalla formazione o dall’ultimo riscaldamento in poi. A quali tipi di radiazioni sono sottoposti i cristalli in questione? L’accumulazione riguarda l’energia delle radiazioni alfa, beta e gamma provenienti dai radioelementi quali Uranio, Torio, Potassio e Rubidio, ma anche piccole quantità di radiazione cosmica.
Tutto questo vi ricorda qualcosa? Sì, la base dell’ESR è quasi la stessa della termoluminescenza (TL) però, mentre nella TL gli elettroni sono liberati dal riscaldamento in laboratorio, nell’ESR l’energia “intrappolata” è misurata mediante l’interazione del campione con un campo magnetico e radiazioni elettromagnetiche aventi una determinata frequenza. Questo tipo di stimolazione ci permette di misurare la risonanza di spin elettronico, fenomeno che dà il nome alla tecnica. La caratteristica che “fa la differenza” per archeologi e conservatori è che l’ ESR è ripetibile, al contrario della TL, in cui il campione viene “svuotato” definitivamente non permettendo una nuova verifica.
Anche per questa datazione avremo un’equazione dell’età:
età= (dose accumulata (AD))/(dose annua (D))
La dose accumulata è la quantità di radioattività che il nostro campione ha “registrato” a partire dal suo riscaldamento e/o formazione (capiremo meglio nel prossimo post quali eventi sono databili a seconda dei differenti materiali a disposizione). La dose annua è la radioattività assorbita in un anno ed è ricavata mediante analisi chimiche degli elementi radioattivi presenti nel reperto e nell’ambiente in cui è stato conservato nel corso dei secoli. Come per la TL, in alternativa, può essere adoperata anche la dosimetria in situ.
Vi aspetto la prossima settimana per scoprire qualcosa di più dell’ESR e raccontarvi delle sue applicazioni.