Un calzino a strisce colorate da bambino, di quelli con l’alluce separato dalle altre dita dei piedi. Un capo scappato dall’ultimo ciclo di lavatrice di qualche famiglia? No, si tratta di un reperto conservato nel British Museum di Londra, analizzato recentemente con un nuovo protocollo. Una serie di tecniche, per lo più non-invasive, che hanno svelato alcune importanti caratteristiche della manifattura tessile dell’Antico Egitto.
Un calzino a strisce colorate da bambino, di quelli con l’alluce separato dalle altre dita dei piedi. Un capo scappato dall’ultimo ciclo di lavatrice di qualche famiglia? No, si tratta di un reperto conservato nel British Museum di Londra, analizzato recentemente con un nuovo protocollo. Una serie di tecniche, per lo più non-invasive, che hanno svelato alcune importanti caratteristiche della manifattura tessile dell’Antico Egitto.
Il calzino in questione aveva coperto, tra il III e il IV secolo dopo Cristo (datazione con il radiocarbonio), il piede sinistro di un bambino della città romana di Antinopoli, in Egitto. Ha la separazione tra alluce e le altre dita per poter essere indossato con i sandali ed è stato realizzato con un filato di lana di ben 6-7 colori, intrecciato con la tecnica nålbinding, un antenato degli odierni lavori a maglia e all’uncinetto. Un arcobaleno composto da arancione, porpora, blu-verde, rosso scuro, verde, blu scuro e giallo. Una palette sorprendente se parliamo di un’epoca in cui la tintura dei tessuti era un processo complesso, di difficile riuscita e i coloranti a disposizione pochi.
Svelare i segreti nascosti in un antico capo di abbigliamento può essere a volte impossibile: la fragilità del materiale organico spesso impedisce di prelevare campioni e la conservazione dell’integrità del reperto prevale sulla volontà di analisi e interpretazione dei dati che potrebbe fornirci. Ora, grazie alle nuove tecnologie, esistono delle soluzioni alternative.
Il calzino dell’Antico Egitto, insieme ad altri frammenti tessili, è stato adoperato proprio per testare un nuovo protocollo di analisi non-invasive (che non prevedono prelievo di campione) e micro-invasive (quantità pari a 50-100 microgrammi, in questo caso 2-3 millimetri di fibre) per i tessuti conservati nelle collezioni museali. Per quanto riguarda la parte completamente non distruttiva, il protagonista assoluto è stato l’imaging multispettrale: questa tecnica comprende un set di metodi fotografici adattati per la mappatura delle caratteristiche di fotoluminescenza e riflessione di superfici illuminate con radiazioni di differente lunghezza d’onda. Attraverso l’acquisizione dell’immagini e la loro elaborazione, si ottengono informazioni sulla natura chimica dei materiali presenti e sulla loro distribuzione spaziale. È così che, con una Canon 40D modificata, i ricercatori sono riusciti a fotografare il calzino in diversi intervalli di lunghezze d’onda, compresi il visibile, l’infrarosso e l’ultravioletto.
Fotografie del calzino acquisite con diverse tecniche di imaging: (a) Visibile riflesso (VIS); (b) Luminescenza nel visibile indotta da UV (UVL); (c) Infrarosso riflesso (IRR); (d) Infrarosso riflesso in falsi colori (IRRFC); (e) Ultravioletto riflesso (UVR); (f) Ultravioletto riflesso in falsi colori (UVRFC). Sono stati adoperati anche altri due nuovi metodi di imaging: luminescenza visibile indotta da radiazione nel visibile (VIVL) che ha il vantaggio di non utilizzare sorgenti UV e rendere l’ambiente di lavoro più sicuro per operatori e reperti, e il multiband-reflected (MBR) imaging, l’imaging della radiazione riflessa multibanda, molto utile nella mappatura di specifici coloranti. Fonte: Dyer J, Tamburini D, O’Connell ER, Harrison A (2018) A multispectral imaging approach integrated into the study of Late Antique textiles from Egypt. PLoS ONE 13(10): e0204699. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0204699
Lo studio, pubblicato su PLoS ONE, ha previsto anche una fase distruttiva – anche se in minima parte (8 microcampioni) – per le analisi in microscopia ottica e a scansione elettronica e per la cromatografia liquida ad alta prestazione-spettrometria di massa (HPLC-MS, high-performance liquid chromatography mass spectrometry).
Secondo Joanne Dyer, autrice dell’articolo, esaminare un gran numero di tessuti antichi aiuterà gli storici nella comprensione delle relazioni tra questi manufatti e l’epoca in cui sono stati realizzati: “Il tardo antico è un periodo molto lungo, che va dal 200 all’800 dopo Cristo. In questo intervallo di tempo in Egitto sono accadute molte cose. C’è stata la conquista da parte degli Arabi e i Romani sono andati via. Tali eventi hanno influenzato l’economia, i commerci, l’accesso ai materiali, e tutto questo si riflette nella manifattura di ciò che la gente indossava e su come venivano prodotti questi oggetti”.
Cosa ci ha raccontato questo simpatico calzino? Le tinture adoperate derivano da sole tre piante coloranti – la robbia per il rosso (Rubia tinctorum), la reseda dei tintori per il giallo (Reseda luteola) e il guado per il blu (Isatis tinctoria) – da cui gli artigiani dell’epoca sono riusciti a ricavare le altre tinte con doppie e sequenziali fasi di tintura e tessitura e attorcigliando le fibre. Un sistema ingegnoso per far fruttare al meglio le scarse risorse a disposizione.