Tutti abbiamo almeno un paio di blue jeans nel nostro armadio. Il loro tessuto è comodo, resistente, per non parlare del colore, adatto a ogni occasione. Le prime due caratteristiche saranno state anche quelle che hanno spinto gli antichi abitanti del Perù, 6000 anni fa, a costruire borse con questo tessuto. Cosa sappiamo della storia del jeans? E di quella dell’indaco, la tintura che ha reso famosa questa stoffa?
Infografica realizzata da Maria Cristina Caggiani, autrice del blog Archeobaleni
Tutti abbiamo almeno un paio di blue jeans nel nostro armadio. Il loro tessuto è comodo, resistente, per non parlare del colore, adatto a ogni occasione. Le prime due caratteristiche saranno state anche quelle che hanno spinto gli antichi abitanti del Perù, 6000 anni fa, a costruire borse con questo tessuto. Cosa sappiamo della storia del jeans? E di quella dell’indaco, la tintura che ha reso famosa questa stoffa?
Della storia del blu e dei suoi utilizzi ci parla Michel Pastoreau nel suo “Blu, storia di un colore”. Una delle tinte adoperate già agli albori delle civiltà conosciute è l’indaco, ricavato dalle foglie di un arbusto di cui esistono numerose varietà, l’Indigofera tinctoria. Esso dà ai filati di seta, lana e di cotone una tinta blu profonda e stabile: immergere il tessuto nella vasca d’indaco e poi esporlo all’aria è sufficiente affinché il colore si fissi. La tintura con l’indaco è nota dal Neolitico nelle regioni in cui cresce l’arbusto, tra cui proprio il Sud e Centro America.
Per quanto riguarda i jeans, dobbiamo la loro invenzione a Levi Strauss, piccolo venditore ambulante che giunse a san Francisco con una grande quantità di tela da tenda e da carri per i pionieri alla ricerca di oro nel lontano 1849. Questi uomini, però, più che di tende avevano bisogno di un abbigliamento robusto e funzionale, quindi con lo stesso materiale furono confezionati pantaloni e salopette. Presto la tela fu sostituita dal denim, tessuto di sargia – stoffa leggera, di lana o di lino – importato dall’Europa e tinto con l’indaco. È questo il momento in cui nacque il capo cult per generazioni di giovani.
Diagramma e foto del campione analizzato nello studio descritto nell’articolo di J. C. Splitstoser, T. D. Dillehay, J. Wouters, A. Claro, Early pre-Hispanic use of indigo blue in Peru, Science Advances, ottobre 2016
La stoffa tinta di blu di cui vi abbiamo parlato all’inizio del post è stata ritrovata a Huaca Prieta, un antico tumulo cerimoniale nella costa settentrionale del Perù, che fu occupato tra 14500 e 4000 anni fa. Migliaia di quadrati di tessuto preistorico sono stati recuperati nel sito. Questi scampoli, secondo gli studiosi, erano adoperati per trasportare offerte al tempio. Jeffrey C. Splitstoser, uno dei ricercatori, ha trovato interessante la presenza del colore blu e ha voluto scoprire se quello fosse proprio il celebre indaco.
Come accennato il fissaggio della tinta avviene per immersione e successiva esposizione all’aria. Quello che non abbiamo sottolineato è che il bagno a cui viene sottoposta la stoffa non è blu e il materiale acquisisce la particolare colorazione solo quando esposto all’aria ossia sottoposto ad una reazione di ossidazione. Quindi queste antiche popolazioni devono aver avuto una profonda conoscenza di piante e dei processi tintori ed è questo che ha incuriosito Splitstoser.
Come capire se quello fosse veramente indaco? Gli studiosi hanno chiesto aiuto a una tecnica analitica chiamata cromatografia. Potremmo assimilare il fenomeno legato a questa tecnica alla descrizione di ciò che accade all’inchiostro su un foglio bagnato. La cromatografia è un modo di separare un miscuglio di sostanze, in forma liquida o gassosa, facendolo passare lentamente attraverso un’altra sostanza, solitamente liquida o solida. Nell’esempio dell’inchiostro sulla carta bagnata, abbiamo il liquido (l’inchiostro) che avanza lentamente sulla superficie di un solido (la carta). Ogni singolo composto, però, avrà una velocità diversa di diffusione ed è così che potremo separarle e distinguerle.
Esperimento di chimica: separazione cromatografica dei componenti di un miscuglio. Fonte: Lattes Editori (Canale YouTube)
Nello specifico è stata adoperata una cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC- High Performance Liquid Chromatography). Dopo la “corsa” del campione liquido, le sostanze così separate sono state analizzate ulteriormente da un rilevatore, in questo caso uno spettrometro Uv – Vis (Ultravioletto – Visibile). A seconda dell’assorbimento di determinate lunghezze d’onda sono state identificate le molecole coloranti presenti.
La cromatografia ha confermato i sospetti degli archeologi che hanno potuto così confermare di aver scoperto i primi blue jeans della Storia.
Breve pausa per “Scienza e Beni Culturali”. Vi aspetto con il mio prossimo post il 14 novembre. A presto!