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02 Apr 2019

Dimenticare: l’altra faccia della memoria

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Siamo legati ai nostri ricordi, cerchiamo in tanti modi di migliorare la nostra memoria ma raramente parliamo dell’altra faccia della medaglia: il dimenticare. Scordare diviene una nostra preoccupazione solo in situazioni spiacevoli o anche drammatiche ma capire come il cervello rimuova parti di ciò che abbiamo appreso o di cui abbiamo avuto esperienza è l’obiettivo di molti ricercatori. Questo perché ricordare e dimenticare hanno mostrato di essere meccanismi strettamente legati e per descrivere l’uno non si può prescindere dall’altro. In un articolo pubblicato su Quanta Magazine è stato approfondito questo lato della ricerca nelle neuroscienze.

Siamo legati ai nostri ricordi, cerchiamo in tanti modi di migliorare la nostra memoria ma raramente parliamo dell’altra faccia della medaglia: il dimenticare. Scordare diviene una nostra preoccupazione solo in situazioni spiacevoli o anche drammatiche ma capire come il cervello rimuova parti di ciò che abbiamo appreso o di cui abbiamo avuto esperienza è l’obiettivo di molti ricercatori. Questo perché ricordare e dimenticare hanno mostrato di essere meccanismi strettamente legati e per descrivere l’uno non si può prescindere dall’altro. In un articolo pubblicato su Quanta Magazine è stato approfondito questo lato della ricerca nelle neuroscienze.

 

Dimenticare è un filtro

 

Capita a tutti di dimenticare. Il giorno dopo una ricorrenza importante ricordiamo tutti i particolari di quella giornata che, poi, iniziano a svanire con il passare del tempo fino a divenire un film sfuocato, di cui ci sovvengono solo particolari che, probabilmente, risultano rilevanti per noi per alcuni motivi specifici. Dimenticare è un filtro che fa passare il superfluo e trattiene solo ciò che per noi è importante. La comprensione di come funziona questo filtro è fondamentale per avere un quadro preciso di come agisce il nostro cervello.
Studiare la memoria è complesso: tutte le creature viventi hanno memoria, dagli organismi più semplici a noi uomini, passando per le lumache di mare (molte volte oggetto di analisi in questo ambito di ricerca), con differenze che possono essere legate alle diverse strutture del sistema nervoso. Inoltre, anche all’interno di una singola specie, esistono differenti tipi di memoria, che possono essere collegati ma anche collocati in parti distinte del cervello, basti pensare alla nostra memoria di lavoro, dipendente dall’ippocampo, e quella a lungo termine, che coinvolge le aree corticali.

 

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Un processo spontaneo?

 

In passato si credeva che dimenticare fosse un processo passivo in cui la perdita di memoria era legata a tracce mnemoniche fisiche, chiamate engrammi, che potevano andare incontro a rottura o il cui accesso diveniva più difficile. Questo tipo di processo potrebbe coinvolgere il decadimento spontaneo delle connessioni tra neuroni che decodificano la memoria, la morte causale di questi neuroni, il guasto del sistema che normalmente aiuterebbe a consolidare e stabilizzare i ricordi, la perdita di indizi sul contesto o altri fattori che potrebbero rendere complesso recuperare la memoria.
Ora i ricercatori stanno focalizzando il loro lavoro sui meccanismi che cancellano o nascondono attivamente gli engrammi.

 

Il dimenticare intrinseco e il ruolo della nascita di nuovi neuroni

 

Nel 2017 è stata identificata una forma di cancellazione attiva della memoria: il dimenticare intrinseco. Tale processo coinvolgerebbe solo alcuni tipi di cellule, le “cellule della dimenticanza”, che degradano gli engrammi in cellule di memoria. Con studi ed esperimenti svolti su animali, in laboratorio, gli autori della ricerca, Ronald Davis e Yi Zhong, hanno dimostrato che dopo la formazione di un nuovo ricordo, un meccanismo basato sulla dopamina inizia a cancellarlo. Ciò succede perché le cellule invertono i cambiamenti strutturali che hanno originato l’engramma. La tendenza naturale delle cellule è quella di tornare allo stato iniziale, quello presente prima di fissare un ricordo, nonostante quest’ultimo sia riconosciuto come importante. In questo ultimo caso l’engramma è protetto attraverso un processo di consolidamento, in grado di mantenere un equilibrio tra ciò che viene imparato e ciò che viene dimenticato. Anche Rac1, una proteina specifica dei neuroni dell’ippocampo, è coinvolta nell’erosione dei ricordi.
Un altro processo cellulare che è causa di una particolare forma di dimenticanza è la neurogenesi, la formazione di nuovi neuroni: essenziale per la produzione di nuovi ricordi, potrebbe complicare la capacità di recuperare memorie precedenti dall’ippocampo. Se i collegamenti neurali aggiunti si sovrappongono con i circuiti che conservano i vecchi ricordi, essi potrebbero danneggiare i vecchi engrammi o rendere più difficile l’isolamento dei ricordi passati da quelli nuovi. Inoltre l’effetto della neurogenesi dell’ippocampo è maggiore per la memoria recente, sebbene si tratti di un meccanismo più lento (richiede numerose settimane) rispetto a quello della dimenticanza intrinseca.
E dove va a finire ciò che scordiamo? Grazie all’ennesimo esperimento sull’Aplysia californica, una lumaca di mare, gli scienziati hanno raccolto le prove che i ricordi persi possono non esserlo per sempre: un’esperienza simile a quella passata, poi dimenticata, ne potrebbe riportare alla mente il ricordo.

 

Un giorno riusciremo a manipolare la nostra memoria?

 

I ricercatori sperano di impiegare i risultati ottenuti per “manipolare la memoria” a fin di bene. Il controllo della dimenticanza troverebbe applicazioni nel trattamento di malattie neurogenerative come il morbo di Alzheimer o per altre tipologie di demenza, o anche per alleviare il dolore dei pazienti che soffrono di disordini derivanti da stress post-traumatico. Influenzare una parte così sensibile del funzionamento del nostro cervello, dei processi che sono legati intimamente con la nostra personalità, fa sorgere giustamente dubbi di natura etica. Paul W. Frankland, autore delle ricerche sulla neurogenesi citate, ha commentato a tal proposito: “Probabilmente è pericoloso se si parla di essere capaci di dimenticare cose selettivamente. Ma, se stai prendendo un farmaco che incentiva l’amnesia generale, a questo punto scorgo meno questioni etiche”.

 

Si parla ancora di cervello nell’articolo di Luca Bonfanti e Chiara La Rosa, “Il mistero dei neuroni ‘immaturi'”, che potrete acquistare e leggere singolarmente o nel numero di agosto 2018 di Sapere.

 

Immagine di copertina: foto di Rodolfo Clix da Pexels

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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