Due recenti episodi, entrambi riguardanti vulcani dell’Alaska e delle Isole Aleutine hanno posto in evidenza la relazione a volte fruttuosa, a volte meno, tra sismologia e vulcanologia.
Due recenti episodi, entrambi riguardanti vulcani dell’Alaska e delle Isole Aleutine hanno posto in evidenza la relazione a volte fruttuosa, a volte meno, tra sismologia e vulcanologia.
In un recente articolo pubblicato sul Bullettin of Seismological Society of America e divulgato anche su EOS, viene proposto un metodo innovativo per monitorare i numerosi vulcani che in un’area selvaggia e remota non sono dotati di una propria rete di monitoraggio. L’idea è quella di sfruttare l’impatto al suolo delle onde acustiche generate dalle esplosioni vulcaniche, che a loro volta generano onde sismiche. Le onde acustiche in aria sono circa 10 volte più lente delle onde sismiche, quindi una rete di monitoraggio a distanza può registrare sia la sismicità precedente o associata all’eruzione e quindi riconoscere successivamente dalla presenza delle onde GCA (ground-coupled airwaves) che è effettivamente in atto una eruzione.
Dall’altro lato, però, si è osservata nella stessa area una potente eruzione del vulcano Pavlof non preceduta da terremoti. Nella descrizione dell’accaduto i ricercatori dell’Alaska Earthquake Center spiegano come sia stato possibile. Il vulcano Pavlof, il più attivo del Nord America, è un vulcano a condotto aperto. Questo significa che il magma è sempre presente nel cratere e che non deve farsi strada rompendo rocce consolidatesi da tempo. La mancanza di ostacoli a una improvvisa risalita di ulteriore lava dal profondo evita quindi la generazione di terremoti precursori della eruzione.
Volendo fare un paragone con l’Italia, questo potrebbe accadere a Stromboli, che è un vulcano perennemente attivo, ma non al Vesuvio o ai Campi Flegrei, dove il magma per raggiungere la superficie dovrebbe farsi strada tra le rocce solidificate delle passate eruzioni.
