Ian Malcolm, matematico protagonista di Jurassic Park e dei suoi numerosi sequel, affermava: “Se c’è una cosa che la storia dell’evoluzione ci ha insegnato è che la vita non ti permette di ostacolarla. La vita si libera, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente, magari pericolosamente ma… Tutto qui! Dico semplicemente che la vita vince sempre”. Uno studio internazionale, pubblicato su Nature Geosciences, ci racconta che questo potrebbe non essere il caso della Grande Barriera Corallina australiana: i ricercatori hanno dimostrato che negli ultimi 30.000 anni questo grande sistema naturale ha subito ben 5 eventi mortali, riuscendo a ristabilirsi nonostante gli stress sopportati. Purtroppo, però, i futuri cambiamenti ambientali potrebbero risultare fatali.
Ian Malcolm, matematico protagonista di Jurassic Park e dei suoi numerosi sequel, affermava: “Se c’è una cosa che la storia dell’evoluzione ci ha insegnato è che la vita non ti permette di ostacolarla. La vita si libera, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente, magari pericolosamente ma… Tutto qui! Dico semplicemente che la vita vince sempre”. Uno studio internazionale, pubblicato su Nature Geosciences, ci racconta che questo potrebbe non essere il caso della Grande Barriera Corallina australiana: i ricercatori hanno dimostrato che negli ultimi 30.000 anni questo grande sistema naturale ha subito ben 5 eventi mortali, riuscendo a ristabilirsi nonostante gli stress sopportati. Purtroppo, però, i futuri cambiamenti ambientali potrebbero risultare fatali.
Un paradiso in pericolo
La Grande Barriera Corallina è la maggiore formazione corallina del mondo con i suoi 2.000 chilometri di estensione al largo delle coste nord-orientali dell’Australia, nel Mar dei Coralli. È separata dalla terraferma da un canale profondo fra 20 e 100 metri e largo da 80 a 100 chilometri. È Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 1981 ed è la casa di 400 tipi di coralli, 1.500 specie di pesci e 4.000 diversi molluschi. Riveste un grande interesse scientifico anche perché è l’habitat di animali quali i dugonghi (Dugong dugon, un mammifero acquatico) e le tartarughe verdi (Chelonia mydas), a rischio di estinzione. Il team di studiosi, guidato dal professor Jody Webster dell’Università di Sidney, ha ricostruito l’evoluzione della barriera corallina negli ultimi 30.000 anni osservandone la risposta ai maggiori e improvvisi cambiamenti climatici del passato.
Morte e rinascita della barriera corallina
La storia dell’evoluzione della Grande Barriera Corallina è stata esaminata utilizzando i dati ricavati da informazioni di tipo geomorfologico, sedimentologico, biologico e geocronologico, ottenute dall’analisi di 16 carotaggi della barriera fossile prelevati presso le coste di Cairns e Mackay, due città del Queensland.
Jody Webster durante uno dei carotaggi
Ci sono stati due eventi mortali, 30.000 e 22.000 anni fa, causati dall’esposizione all’aria dei coralli: in questi periodi la barriera si è spostata verso il mare aperto per cercare di seguire il ritmo del livello del mare che si stava progressivamente abbassando. Dopo l’Ultimo massimo glaciale (LGM, Last Glacial Maximum), durante la deglaciazione, hanno avuto luogo due ulteriori eventi letali dovuti al rapido innalzarsi del livello del mare. Questo è accaduto 17.000 e 13.000 anni fa. In questo caso la barriera si è spinta verso la costa. Le analisi delle carote raccolte e i dati riferiti ai flussi sedimentari hanno dimostrato che questi ultimi episodi sono stati associati a un aumento del sedimento depositato. Infine, 10.000 anni fa, un incremento notevole dei sedimenti, la diminuzione della qualità delle acque, insieme a un generale innalzamento del livello del mare, ha portato al quinto evento dannoso.
Rappresentazione grafica dello studio pubblicato su Nature Geosciences
Gli autori della ricerca hanno ipotizzato che la Grande Barriera Corallina sia stata in grado di ristabilirsi nel corso del tempo grazie alla continuità dell’habitat dei coralli e delle alghe coralline e alla capacità di migrare lateralmente a una velocità di 0,2-1,5 metri all’anno.
Questa volta potrebbe non farcela
Anche alla luce dei dati riportati, purtroppo questa volta la barriera potrebbero non farcela: la sua capacità di sopravvivenza potrebbe non essere abbastanza per resistere agli attuali tassi di innalzamento della temperature della superficie degli oceani, al brusco declino della copertura di coralli, allo sbiancamento, al peggioramento della qualità delle acque e al flusso di sedimenti. Il professor Webster ha affermato nel comunicato stampa ufficiale: “Ho seri dubbi sulla capacità della barriera nella sua forma attuale di sopravvivere al ritmo dei cambiamenti causati dai numerosi stress odierni e a quelli che ci saranno in un futuro prossimo”. Secondo studi precedenti, la temperatura della superficie delle acque, nel passato, aumentava di un paio di gradi in 10.000 anni, a fronte degli odierni 0,7 gradi in un secolo. Inoltre ci vorrà un enorme sforzo per comprendere come le attività industriali influenzino l’input di sedimenti e la qualità delle acque al fine di arginare questo pericoloso fenomeno.
A proposito di coralli
Non solo i coralli di acque poco profonde sono a rischio. In un laboratorio della Temple University, a Philadelphia, gli scienziati stanno studiando quali siano i fattori in grado di uccidere i “super coralli” del genere Lophelia – che vivono in freddi abissi – per capire l’impatto delle attività umane (un esempio è il disastro ambientale dovuto all’incidente sulla piattaforma di perforazione Deepwater Horizon, avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico) su questa tipologia di barriere. Anche in questo caso gli organismi analizzati, per quanto resistenti, hanno mostrato di non poter superare le forti pressioni antropiche a cui li stiamo sottoponendo.
Tra gli esseri viventi in grado di essere indicatori della salute dell’ambiente in cui vivono non ci sono solo i coralli. Per saperne di più acquistate e leggete l’articolo “Il biomonitoraggio: come le piante ‘leggono’ l’ambiente” di Franca Tommasi e Nunzio Dipierro pubblicato nel numero di Sapere di aprile 2018.