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28 Ott 2019

Il buco dell’ozono è ai minimi storici

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Secondo le misurazioni effettuate dagli scienziati della NASA e del NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, il buco dell’ozono ha raggiunto la dimensione più piccola rispetto a tutti i valori registrati dal 1982. Una notizia positiva? Non come ci aspetteremmo.

Secondo le misurazioni effettuate dagli scienziati della NASA e del NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, il buco dell’ozono ha raggiunto la dimensione più piccola rispetto a tutti i valori registrati dal 1982. Una notizia positiva? Non come ci aspetteremmo.

 

Cos’è l’ozono? E il buco dell’ozono?

 

L’ozono (O3) è un gas chimicamente molto attivo, in grado di reagire velocemente con un gran numero di altre sostanze. Questi processi chimici, che hanno luogo vicino alla superficie della Terra, producono conseguenze sia negative, sia positive: nel primo caso si possono citare danni alle piante e ai tessuti di cui sono costituiti i nostri polmoni, nel secondo c’è l’assorbimento delle componenti pericolose della radiazione solare, gli UVB.
Ogni anno, negli ultimi decenni, durante la primavera dell’emisfero australe, reazioni chimiche che coinvolgono cloro e bromo causano la distruzione dello strato di ozono nella regione polare meridionale: è questo quello che viene chiamato buco dell’ozono. Da dove provengono il cloro e il bromo responsabili della diminuzione di ozono? Negli anni Settanta i premi Nobel per la chimica, F.S. Rowland e M.J. Molina, provarono il legame tra l’immissione in atmosfera dei clorofluorocarburi (CFC), sostanze refrigeranti, e l’assottigliamento della fascia di ozono. Esistono comunque anche altri composti che contribuiscono al fenomeno. Una soluzione a questa situazione è stato il Protocollo di Montreal, in vigore dal gennaio 1989: il documento stabilisce i termini di scadenza entro cui i paesi firmatari (a oggi 197, compresa l’Italia) si impegnano a contenere i livelli di produzione e di consumo delle sostanze dannose per la fascia d’ozono stratosferico ossia halon, tetracloruro di carbonio, clorofluorocarburi, idroclofluorocarburi, tricloroetano, metilcloroformio, bromuro di metile e bromoclorometano. Il rimpicciolimento del buco dell’ozono è, quindi, una buona notizia? Non del tutto.

 

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Le ultime misure della NASA e NOAA

 

Secondo le misure satellitari di NASA e NOAA, il buco dell’ozono ha raggiunto un’estensione di 16,4 milioni di chilometri quadrati l’8 settembre e, quindi, si è ristretto fino a meno di 10 milioni di chilometri quadrati per il resto di settembre e ottobre. Negli anni, con condizioni meteorologiche normali, il buco dell’ozono cresce di un’area massima di circa 20 milioni di chilometri quadrati tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre. Paul Newman, chief scientist del Earth Sciences del NASA’s Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland, ha dichiarato: “È una grande notizia per l’ozono nell’emisfero australe. Ma è importante capire che ciò che stiamo vedendo quest’anno è dovuto a temperature più alte della stratosfera. Non è un segno che l’ozono atmosferico sia improvvisamente sulla rapida via del recupero“.

 

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Non è la prima volta che il buco dell’ozono si riduce così

 

Questa non è la prima volta che viene registrata una diminuzione anomala del buco dell’ozono. Negli ultimi quarant’anni per tre volte – compresa quest’ultima – il sistema meteorologico ha causato un riscaldamento nelle temperature che ha limitato la diminuzione dell’ozono. Come dichiarato da Susan Strahan, scienziata dell’atmosfera, simili condizioni si sono già verificate nella stratosfera antartica nel settembre del 1988 e in quello del 2002. Strahan ha spiegato: “È un evento raro che stiamo cercando ancora di comprendere. Se non ci fosse stato il riscaldamento, probabilmente avremmo visto un buco dell’ozono più tipico”. Non sono state identificate connessioni tra il verificarsi di questo tipo unico di evento e i cambiamenti climatici.

 

Se per la diminuzione delle dimensioni del buco dell’ozono non ci sono legami provati con il riscaldamento globale, quest’ultimo invece è la causa della scomparsa di specie animali e vegetali. Ce ne parla Michela Pacifici nell’articolo “Influenza dei cambiamenti climatici sul rischio di estinzione”, pubblicato nel numero di ottobre 2016 di Sapere.

 

Credits immagine: NASA

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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