I ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno condotto uno studio sulla montagna himalayana per verificare gli effetti dell’inquinamento indoor (in ambienti chiusi, confinati) sul sistema respiratorio e cardiocircolatorio della popolazione locale. Il lavoro, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di scienze biomediche e chirurgico specialistiche dell’Università di Ferrara e con l’Università di Pisa, è in via di pubblicazione sulla rivista European Journal of Internal Medicine.
I ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno condotto uno studio sulla montagna himalayana per verificare gli effetti dell’inquinamento indoor (in ambienti chiusi, confinati) sul sistema respiratorio e cardiocircolatorio della popolazione locale. Il lavoro, realizzato in collaborazione con il Dipartimento di scienze biomediche e chirurgico specialistiche dell’Università di Ferrara e con l’Università di Pisa, è in via di pubblicazione sulla rivista European Journal of Internal Medicine.
Gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute: i dati dell’OMS
Il tema è oggetto della prima conferenza globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sugli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute, evento che si è svolto dal 30 ottobre al 1° novembre 2018 a Ginevra. Secondo i dati dell’OMS, la presenza in atmosfera del particolato atmosferico fine di origine antropica (PM2.5, generalmente definito “polveri sottili”) costituisce il sesto fattore di rischio per la salute umana e ha causato, nel 2016, a livello globale, 4,1 milioni di morti per disturbi respiratori, cardiovascolari e per cancro polmonare. Un numero di decessi maggiore rispetto a quello dovuto a più noti fattori di rischio quali abuso di alcool o inattività fisica, e simile a quello per elevati livelli di colesterolo nel sangue o obesità.
Le condizioni degli ambienti domestici abitati dagli sherpa
“Meno noto è che circa 2 milioni di decessi annui addizionali sono originati dall’esposizione all’inquinamento negli ambienti domestici, fenomeno particolarmente preoccupante nei continenti asiatico e africano, dovuto principalmente all’utilizzo, per riscaldamento e preparazione dei pasti, di combustibili di bassa qualità (sterpi, residui agricoli, sterco animale) con stufe altamente inefficienti e in ambienti non adeguatamente ventilati”, ha spiegato Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (CNR-ISAC) e coautore dell’articolo. “Precedenti ricerche hanno già esaminato questo fenomeno in India, Cina e America Latina. La particolarità di questo studio, condotto nel villaggio di Chaurikharka, a 2.562 metri di altezza, abitato dalla popolazione sherpa, sono la lontananza da altre possibili sorgenti di inquinamento, nonché la bassissima propensione al fumo, e la rarità dei fenomeni di obesità e diabete nella popolazione. L’assenza di questi fattori rende possibile una valutazione più precisa del rapporto causa-effetto fra l’inquinamento indoor e le affezioni riscontrabili nella popolazione”. La popolazione sherpa appartiene a uno dei gruppi etnici del Nepal, vive alle pendici dell’Everest ma è originaria delle province orientali del Tibet. Molti di voi sapranno, se esperti o conoscitori di alpinismo, che l’occupazione principale di queste genti, un tempo dedite esclusivamente all’agricoltura e alla pastorizia, è diventata quella di guide e organizzatori di spedizioni alpinistiche sull’Himalaya.
In milioni di abitazioni dei Paesi emergenti questo tipo di stufe, spesso senza camino, sono ancora oggi utilizzate per riscaldarsi e per preparare i pasti. Credits: CNR
I risultati dello studio
In questi ambienti domestici le concentrazioni di PM2.5, contenente a sua volta un’elevata percentuale di black carbon (BC), un derivato dalla combustione estremamente dannoso per la salute, possono superare di molte volte i limiti fissati dall’OMS per l’aria ambiente. “Abbiamo monitorato tredici case del villaggio su un intero ciclo giornaliero per verificare i livelli di concentrazione di PM2.5 e di BC. Settantotto abitanti delle case oggetto delle misure in età compresa fra 16 e 75 anni sono poi stati oggetto di una serie di valutazioni mediche”, ha aggiunto Lorenza Pratali, ricercatrice dell’Istituto di Fisiologia Clinica (CNR-IFC) e prima autrice dello studio. “Dai risultati clinici è emerso che anche una cattiva qualità dell’aria dell’ambiente indoor può causare una precoce disfunzione a carico delle vie aeree e danno cardiovascolare subclinico. L’effetto nocivo è maggiore soprattutto dal punto di vista cardiovascolare nella popolazione con età maggiore di 30 anni, con una più prolungata esposizione al black carbon. È chiaro che semplici interventi che favoriscano l’uso di stufe più efficienti e combustibili più adeguati in queste comunità possono ridurre sostanzialmente le emissioni indoor dovute alla combustione e, di conseguenza l’esposizione degli abitanti e gli effetti sulla salute”.
Per approfondire il tema dell’inquinamento dell’aria, acquistate e leggete “Qualità dell’aria e salute” di Sandro Fuzzi, autore della ricerca descritta in questo articolo.