La plastica ci ha invasi e non ci sarà mai un luogo abbastanza lontano, isolato e incontaminato in cui non incontreremo tracce di questo inquinamento. È la conclusione a cui è possibile arrivare leggendo i risultati della ricerca sulle microplastiche in atmosfera del CNRS-Centre national de la recherche scientifique, il centro nazionale francese per la ricerca scientifica, pubblicati su Nature Geoscience.
La plastica ci ha invasi e non ci sarà mai un luogo abbastanza lontano, isolato e incontaminato in cui non incontreremo tracce di questo inquinamento. È la conclusione a cui è possibile arrivare leggendo i risultati della ricerca sulle microplastiche in atmosfera del CNRS-Centre national de la recherche scientifique, il centro nazionale francese per la ricerca scientifica, pubblicati su Nature Geoscience.
Microplastiche: non solo inquinanti dell’acqua
Prima di descrivere la ricerca del team francese, diamo ancora una volta la definizione di microplastiche. Le microplastiche sono frammenti di materiale plastico di dimensioni comprese tra gli 0,1 e i 5000 micrometri: il micrometro è un millesimo di millimetro e, per capire di quale ordine di grandezza stiamo parlando, basti pensare che un nostro capello ha un diametro che va dai 50 ai 70 micrometri. Esistono anche le nanoplastiche, che misurano da 1 a 100 nanometri (il nanometro corrisponde a un milionesimo di millimetro). Qual è l’origine delle microplastiche? Queste particelle possono essere primarie, cioè già prodotte in queste piccole dimensioni, un esempio sono le sfere esfolianti di alcuni cosmetici o le microsfere di dentifrici specifici. Oppure sono secondarie, originate dalla degradazione fisica, chimica o biologica di pezzi più grandi di plastica abbandonati in mare. Ma, come recita un proverbio americano, “What goes around, comes around”, si raccoglie ciò che si semina e, la plastica di cui ci siamo liberati ritorna, purtroppo non solo in ambiente acquatico.
Trasporto e deposizione di microplastiche sui Pirenei francesi
I rifiuti in plastica stanno letteralmente soffocando l’ambiente e, soprattutto le microplastiche, sono riuscite a raggiungere gli oceani su scala globale grazie al trasporto attraverso i corsi d’acqua. E l’atmosfera? C’è traccia di plastica anche nell’aria che respiriamo? Esistono solo due importanti studi su questo tema, svolti rispettivamente a Parigi e a Dongguan (Cina), per il resto c’è una profonda lacuna legata alla deposizione e trasporto di microplastiche attraverso l’aria. Nella ricerca pubblicata su Nature Geoscience, sono state presentate le osservazioni legate alla deposizione atmosferica di microplastiche in un luogo remoto e incontaminato (almeno così si credeva) tra le montagne dei Pirenei francesi, a circa 1400 metri al di sopra del livello del mare. Sono stati analizzati i campioni raccolti in 5 mesi, che rappresentano deposizione secca e umida, e sono state identificate fibre della lunghezza di circa 750 micrometri, e frammenti di plastica più piccoli di 300 micrometri. La maggior parte dei polimeri ritrovati nei campioni sono stati polistirene, polietilene e polipropilene, solitamente utilizzati nella produzione di oggetti usa e getta come sacchetti e il polistirolo dei contenitori per il cibo. Giornalmente sono stati registrati 294 frammenti, 73 film e 44 fibre per metro quadro. Da dove vengono questi inquinanti se il posto analizzato è così isolato e lontano dall’attività industriale? Gli studiosi hanno analizzato e, tramite modellazione computerizzata, ricostruito la traiettoria dei venti per trovare la fonte di microplastiche. Come previsto, la sorgente non era all’interno di un raggio di 60 miglia (circa 100 chilometri) nella regione, che è scarsamente popolata e priva di attività industriali, commerciali o agricole. Un indizio, però, ha condotto gli scienziati verso la risoluzione del “mistero”. Nei campioni erano presenti grani di quarzo molto sottili color ruggine: polvere del deserto del Sahara che riesce a viaggiare per migliaia di chilometri. Il diametro di queste particelle può raggiungere i 400 micrometri: quanto possono viaggiare, allora, frammenti di plastica ancora più piccoli? Secondo l’analisi, il trasporto in atmosfera può coprire distanze maggiori di 95 chilometri. Ovunque siamo, anche tra le montagne più isolate, la plastica riuscirà a trovarci.
L’impatto sulla salute dell’ambiente e dell’uomo
In aria, così come in acqua, l’impatto dell’inquinamento da microplastiche è una minaccia per la ambiente e per la salute dell’uomo. Solo di recente si è iniziato a studiare gli effetti che l’ingestione o il contatto con microplastiche può avere sul corpo umano, come riporta l’articolo di National Geographic dedicato all’argomento. Per ora sappiamo che microplastiche più piccole di 25 micrometri possono entrare nel nostro organismo attraverso il naso e la bocca e, quelle con dimensioni minori di 5 micrometri, possono raggiungere i polmoni. Per comprendere meglio il problema è bene ricordare che particelle di amianto, grandi pochi micrometri, che raggiungono i tessuti polmonari possono provocare l’asbestosi, una malattia cronica le cui complicazioni possono essere il tumore del polmone e il mesotelioma. Si dovrà capire se minuti frammenti di plastica possano portare alle stesse conseguenze.
Come riportato nelle pagine del sito dell’EFSA-European Food Safety Authority, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, nelle microplastiche possono accumularsi alte concentrazioni di agenti inquinanti quali policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), o residui di composti usati per gli imballaggi come il bisfenolo A (BPA), tutte sostanze estremamente dannose per l’uomo.
Anche le nanoplastiche costituiscono una pesante minaccia: sono chimicamente più reattive delle microplastiche a causa della dimensione ridotta, e quindi della maggiore superficie specifica, e alcuni studi sul loro impatto sugli organismi acquatici hanno dimostrato che, una volta ingerite, possono attraversare le pareti cellulari. Risultati di esperimenti di laboratorio hanno riportato che riescono anche a superare le pareti cellulari del nostro intestino.
Come è sottolineato sempre nell’articolo di National Geographic, diminuire la produzione di plastica migliorerebbe non solo la condizione di oceani e atmosfere, ma influenzerebbe anche il riscaldamento globale: quasi tutte le plastiche sono prodotte a partire da combustibili fossili e questo settore industriale ha contato, nel 2015, una quantità di emissioni di anidride carbonica pari a 1,7 miliardi di tonnellate. Con un volume di plastica la cui produzione raddoppia ogni decennio, nel 2050 è previsto che saranno raggiunti i 6,5 miliardi di tonnellate, valore che corrisponde al 15 % del budget di carbonio globale, come suggerisce uno studio pubblicato su Nature Climate Change. Per impedire che ciò accada dovremmo rimboccarci le maniche e sperare che i governi applichino in maniera severa e integrata misure quali energie rinnovabili, raccolta differenziata, riciclo e la sostituzione dei combustibili fossili con quelli a base di biomassa.
Esistono, però, anche delle plastiche “buone”. Ce lo racconta Stefano Bertacchi in “Amore di (bio)plastica”, che potrete acquistare e leggere singolarmente o nel numero di aprile 2018 di Sapere.
Credits immagine: Oregon State University su Flickr (CC BY-SA 2.0)