Gli ecosistemi terrestri stanno risentendo pesantemente delle nostre difficoltà nella gestione dei rifiuti, in particolar modo della plastica. Ma forse, un giorno neanche troppo lontano, potremo dire addio a questo materiale, infatti i chimici della Colorado State University hanno pubblicato un lavoro su Science che rappresenta un passo avanti verso materiali sostenibili dalle proprietà estremamente competitive.
Gli ecosistemi terrestri stanno risentendo pesantemente delle nostre difficoltà nella gestione dei rifiuti, in particolar modo della plastica. Ma forse, un giorno neanche troppo lontano, potremo dire addio a questo materiale, infatti i chimici della Colorado State University hanno pubblicato un lavoro su Science che rappresenta un passo avanti verso materiali sostenibili dalle proprietà estremamente competitive.
Schiavi dei polimeri
La plastica fa parte del grande insieme dei polimeri, una classe molto ampia di materiali caratterizzati chimicamente da lunghe serie di molecole concatenate, unità che si ripetono chiamate monomeri. Tra i polimeri sintetici possiamo trovare anche fibre, ceramiche, gomme e rivestimenti. Perché siamo ormai schiavi di questi prodotti? Perché sono economici, convenienti, leggeri e durano a lungo. Esattamente le stesse ragioni per cui stanno distruggendo la Terra. Qui su Sapere vi abbiamo già parlato della tristemente celebre “isola di plastica”, dei recenti dati raccolti in Italia sulle microplastiche e delle conseguenze di questo tipo di inquinamento sulla fauna marina. Secondo le informazioni diffuse dal WWF all’inizio di quest’anno, la produzione mondiale di plastica è aumentata, passando dai 15 milioni del 1964 agli oltre 310 milioni attuali. Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani e, se dovessimo proseguire con questa tendenza, nel 2050 le acque mondiali potrebbero arrivare ad avere, in peso, più plastica che pesci. Come invertire questo pericolosissimo trend? Gli scienziati americani ci stavano lavorando già da un po’ ma, solo ora, sono riusciti a intraprendere la strada giusta.
Una vecchia ricerca
La ricerca descritta su Science ha origine da un precedente lavoro su una generazione di polimeri riciclabili chimicamente, risalente al 2015. Questa vecchia versione del materiale richiedeva per la sua produzione temperature estremamente basse, difficilmente riproducibili a livello industriale. Inoltre questo polimero possedeva una bassa resistenza al calore ed era particolarmente morbido. Eugene Chen, professore del dipartimento di chimica, e il suo team sono ora finalmente riusciti a realizzare un polimero con molte delle caratteristiche che tanto amiamo nella plastica: leggerezza, resistenza e durabilità. Qual è la differenza che lo rende amico dell’ambiente? Può essere convertito al suo stato originario di molecola più piccola per una completa riciclabilità chimica e questo può esser fatto, infinitamente, senza utilizzare solventi tossici o particolari protocolli di laboratorio.
La speranza per un futuro senza rifiuti plastici
I monomeri, quindi, possono essere trasformati in polimeri in condizioni sostenibili a livello ambientale e industriale: senza solventi, a temperature ambiente, con una reazione di pochi minuti e una quantità di catalizzatore minima, paragonabile a delle tracce. Il materiale risultante ha alto peso molecolare, stabilità termica, cristallinità e proprietà meccaniche molto simili alla plastica, e, al contrario di quest’ultima, può essere riciclato senza la necessità di ulteriori purificazioni: quello che il professor Chen definisce un ciclo di vita circolare dei materiali. Per ora questa nuova tecnologia è stata applicata solamente all’interno dei laboratori universitari quindi, purtroppo, c’è ancora molto lavoro da affrontare per arrivare a un futuro senza plastica.
Ci parla di bioplastica Stefano Bertacchi, nell’articolo “Amore di (bio)plastica”. Potrete leggerlo acquistandolo singolarmente o scegliendo di regalarvi l’ultimo numero di Sapere.
Immagine di copertina: un frammento del polimero completamente riciclabile realizzato dai chimici della Colorado State University. Credits: Bill Cotton/Colorado State University