Come già affermato più volte, la biodiversità è fortemente minacciata e l’alto tasso di estinzione di specie, a livello locale e globale, ne è una dolorosa conferma. I cambiamenti climatici e lo sfruttamento dei terreni da parte dell’uomo non migliora di certo una condizione già precaria. Riusciremo a superare la triplice sfida che l’Antropocene – una delle epoche più devastanti che la Terra abbia mai conosciuto – ci sta lanciando? Riusciremo a prevenire la perdita di biodiversità, a mitigare e ad adattarci al riscaldamento globale e a fornire in maniera sostenibile risorse per le popolazioni umana, in costante aumento? Secondo una review, pubblicata recentemente su Science, una delle soluzioni potrebbe provenire proprio dal corretto utilizzo dei terreni lavorati quali le coltivazioni, i pascoli e le aree boschive.
Come già affermato più volte, la biodiversità è fortemente minacciata e l’alto tasso di estinzione di specie, a livello locale e globale, ne è una dolorosa conferma. I cambiamenti climatici e lo sfruttamento dei terreni da parte dell’uomo non migliora di certo una condizione già precaria. Riusciremo a superare la triplice sfida che l’Antropocene – una delle epoche più devastanti che la Terra abbia mai conosciuto – ci sta lanciando? Riusciremo a prevenire la perdita di biodiversità, a mitigare e ad adattarci al riscaldamento globale e a fornire in maniera sostenibile risorse per le popolazioni umana, in costante aumento? Secondo una review, pubblicata recentemente su Science, una delle soluzioni potrebbe provenire proprio dal corretto utilizzo dei terreni lavorati quali le coltivazioni, i pascoli e le aree boschive.
Come migliorare i terreni lavorati?
Parola d’ordine: diversificare. La corretta gestione dei terreni lavorati consiste nel mantenere o creare zone in cui ci sia la vegetazione e le condizioni necessarie affinché animali come uccelli, insetti, piccoli e grandi mammiferi, possano continuare a vivere e a rivestire il loro ruolo ecologico. Per proteggere la fauna, purtroppo, non bastano le aree protette, ha spiegato Adina Merenlender, autrice dello studio afferente al Department of Environmental Science, Policy and Management della University of California, Berkley: “Le aree protette sono estremamente importanti ma non possiamo fare affidamento solo su di loro per prevenire la pendente sesta estinzione di massa. Questo è ancora più vero a fronte dei cambiamenti climatici perché le specie avranno necessità di spostarsi per adattarsi alle variazioni di temperatura e clima. Mantenere anche un piccolo pezzo del paesaggio originale – persino un singolo albero – può aiutare a conservare l’originale diversità delle specie”.
I vantaggi delle “working lands”
La conservazione dei terreni lavorati (in inglese working lands) non supporterebbe solamente la biodiversità ma condurrebbe alla produzione di beni e servizi per l’umanità nel lungo termine, assicurando sostenibilità e resilienza. Questi territori potrebbero funzionare come zone tampone tra le aree protette, connettendole e eliminando eventuali pericoli: diverrebbero così complementari ai parchi, fornendo habitat accessori e risorse per alcuni animali e facilitando la dispersione e l’adattamento di altri. Inoltre, questi approcci assicurano che la produzione di cibo, fibre, combustibile e legname potrà essere sostenuta nel lungo periodo e si mostrerà più resiliente nei confronti di eventi naturali estremi quali alluvioni, siccità, uragani, infestazioni e focolai di malattie che, in futuro, saranno sempre più frequenti. Quali tecniche di gestione utilizzare? Ad esempio l’agroforestazione, sistemi agricoli in cui la coltivazione di specie arboree e/o arbustive perenni sono consociate a seminativi e/o pascoli, nella stessa unità di superficie; la silvopastorizia, la combinazione della selvicoltura – disciplina che studia l’impianto e la conservazione dei boschi – e del pascolo degli animali addomesticati; le coltivazioni diversificate e la gestione dei boschi basata sugli ecosistemi.
I working landscape come rivoluzione sociale
I working landscape sono molto più legati al concetto di conoscenza che di tecnologia e sono adatti a coinvolgere le comunità locali nella gestione delle proprie risorse naturali: organizzazioni, movimenti sociali e collaborazioni tra realtà pubbliche e private possono creare un impatto ed esigere modifiche nelle politiche governative affinché sia facilitata la conservazione di questi terreni lavorati. Scienziati ed esperti possono supportare queste iniziative con il proprio impegno, creando insieme paesaggi che funzionino per la biodiversità e per le persone. Claire Kremen, professoressa presso il Department of Environmental Science, Policy and Management e coautrice dell’articolo su Science, ha commentato: “È possibile per questi working landscape aiutare la biodiversità ma anche essere produttivi e remunerativi. E in sostanza è dove vogliamo arrivare. Non possiamo continuare a sfruttare i nostri suoli per la loro fertilità e a inquinare i nostri corsi d’acqua – alla fine questo diminuirà la nostra capacità di continuare a produrre il cibo di cui abbiamo bisogno. Invece dobbiamo porre attenzione nei confronti delle specie animali, dai microbi ai mammiferi, che provvedono a servizi critici quali l’impollinazione, il controllo di infestazioni e il ciclo dei nutrienti”. In California sembra che tutto questo stia diventando una realtà e le due scienziate sperano che questo approccio possa essere adottato in tutto il mondo.
Per approfondire l’argomento, acquistate e leggete l’articolo “Tutelare la biodiversità” di Michele Zanetti, pubblicato nel numero di ottobre 2015 di Sapere.