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24 Ott 2019

Terremoti: forse c’è un modo per calcolare se il peggio è passato

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Un terremoto è spesso seguito da eventi di intensità minore ma può accadere, invece, che tra le scosse successive ve ne sia una di magnitudo maggiore della principale. Sapere cosa accadrà, se il pericolo è passato o se la terra tremerà nuovamente e più di prima, sarebbe rilevante per il calcolo del rischio geologico e quindi essenziale per salvare vite. Laura Gulia e Stefan Wiemer, ricercatori del Servizio Sismologico Svizzero del Politecnico di Zurigo, stanno mettendo a punto un metodo che riesca, attraverso la valutazione di una specifica costante, a stabilire se il peggio deve ancora arrivare.

Un terremoto è spesso seguito da eventi di intensità minore ma può accadere, invece, che tra le scosse successive ve ne sia una di magnitudo maggiore della principale. Sapere cosa accadrà, se il pericolo è passato o se la terra tremerà nuovamente e più di prima, sarebbe rilevante per il calcolo del rischio geologico e quindi essenziale per salvare vite. Laura Gulia e Stefan Wiemer, ricercatori del Servizio Sismologico Svizzero del Politecnico di Zurigo, stanno mettendo a punto un metodo che riesca, attraverso la valutazione di una specifica costante, a stabilire se il peggio deve ancora arrivare.

 

Un semaforo per i terremoti: un aiuto dalle scosse secondarie

 

Come riportato in una News di Nature che descrive lo studio, dopo un grande terremoto i sismologi mettono in guardia i cittadini riguardo scosse successive che continueranno a far tremare la terra ancora per un po’. Sono solitamente eventi di entità minore ma può accadere che non sia così. La statistica ci dice che un nuovo terremoto, di magnitudo più elevata del principale, può avere luogo nel 5-10% dei casi. Questa eventualità può essere prevedibile? Esiste una relazione tra la magnitudo e il numero totale di terremoti in una data regione e in un certo intervallo di tempo: è la legge di Gutenberg e Richter, detta anche legge di occorrenza. Nell’equazione che la descrive è presente un valore b, il parametro che rappresenta il rapporto esatto tra grandi e piccoli terremoti in un particolare intervallo di tempo e luogo. Se b sarà basso ci saranno comparativamente meno scosse minori per ciascun grande terremoto, se sarà alto ci sarà un numero maggiore di piccoli terremoti per ciascuna scossa maggiore.
In lavori precedenti, gli studiosi del Politecnico di Zurigo avevano mostrato che b solitamente cresce durante la sequenza di eventi successivi, il che significa che piccoli terremoti divengono più comuni. Ma ora, nel nuovo articolo pubblicato su Nature, hanno rilevato che, a volte, b diminuisce anziché aumentare, e ciò implica l’aumento della frequenza delle grandi scosse. Queste sequenze sono le uniche a contenere una evento successivo più intenso di quello principale.

 

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Gli studi sui terremoti di Amatrice-Norcia e Kumamoto

 

I risultati raggiunti non hanno però valore statistico, almeno per ora. Lo schema riportato da Gulia e Wiemer è apparso valido solo per due sequenze di terremoti nell’intera raccolta di dati a disposizione ossia 58 sequenze provenienti da California, Giappone, Italia e Alaska. I due casi in cui la teoria è stata confermata sono stati il terremoto di Kumamoto in Giappone e quello di Amatrice-Norcia in Italia, entrambi avvenuti nel 2016. Gli scienziati sperano di utilizzare il valore b nel monitoraggio in tempo reale delle sequenze di eventi minori per distinguere scosse premonitrici e scosse secondarie. Questo permetterebbe di usare una consapevolezza a posteriori per arrivare a delle allerte a priori.

 

Un metodo da testare

 

Come accennavamo in precedenza, i risultati dello studio non provengono da un’analisi statistica per via del numero e della non completezza dei database sismologici. È difficile che la geologia ci dia la possibilità di effettuare esperimenti numerosi e in un ambiente controllato. Per capire la difficoltà nascosta nella raccolta di questo tipo di dati a partire da un database storico, basti pensare che sarebbe necessario misurare l’estensione della regione interessata al terremoto, normalizzare i valori di b per tale zona e tenere conto che molte scosse secondarie non sono state registrate. Per il calcolo riportato da Gulia e Wiemer bisognerebbe decidere i valori dei suddetti parametri per ciascuna area. È quindi necessario porre particolare cautela nel leggere le conclusioni del lavoro e nello sperare di avere già in mano uno strumento per prevedere l’entità delle scosse successive alla principale. Per far comprendere quanto la scelta dei set di dati da valutare sia decisiva per l’applicazione di questa metodologia, nella News di Nature è presentato un esempio esplicativo: gli autori hanno adottato i dati raccolti nei 3 giorni successivi al primo grande terremoto di Amatrice-Norcia per calcolare il valore b ma quelli dei successivi 0,05 giorni per la scossa principale di Kumamoto. In questo ultimo caso, se avessero impiegato un intervallo di tempo di 0,2 giorni, utilizzando il sistema del semaforo, avrebbero ottenuto una luce gialla invece che quella rossa. Un’allerta meno definitiva, una previsione non corretta.

 

Il legame tra terremoti e attività antropiche è al centro dell’intervista di Enrico Bonatti a Peter Styles, “Il terremoto in Emilia: una storia mai raccontata”, pubblicata nel numero di febbraio 2019 di Sapere.

 

Credits immagine: foto di Angelo Giordano da Pixabay

REDAZIONE
La Redazione del sito saperescienza.it è curata da Micaela Ranieri dal 2019, in precedenza hanno collaborato Stefano Pisani e Alessia Colaianni.
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