Si aprirà oggi, 30 novembre, la COP21, la XXI Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Sede della conferenza, che continuerà fino all’11 dicembre, Parigi, blindatissima dopo gli ultimi tragici attentati terroristici.
Si aprirà oggi, 30 novembre, la COP21, la XXI Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Sede della conferenza, che continuerà fino all’11 dicembre, il sito di nel sito di Parigi-Le Bourget, blindatissimo dopo gli ultimi tragici attentati terroristici che hanno colpito la Francia.
L’obiettivo della Conferenza è raggiungere un accordo vincolante e universale sul clima accettato da tutte le nazioni. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nell’ambito della quale è organizzato il tutto, è un trattato ambientale creato dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED).
“Questa è l’ultima chiamata”. “Non c’è piano B”. Il summit è universalmente considerato fondamentale per ottenere la limitazione dei gas a effetto serra che mettono a rischio la stessa futura esistenza dell’intero Pianeta. La Conferenza si tiene a pochissimi giorni dall’ultima, grande allerta ecologica arrivata dalla Cina, dove le autorità di Pechino hanno invitato la popolazione a non uscire di casa a causa dello smog, con il particolato PM2,5 che ha raggiunto livelli oltre dieci volte superiori alla quota massima sopportabile dall’organismo umano. L’inquinamento cinese ha registrato un’impennata nel recente periodo con l’arrivo dell’inverno e l’accensione degli impianti di riscaldamento, in gran parte alimentati a carbone. La Cina vede attualmente provenire oltre l’80 per cento della sua energia dal carbone ed è una delle nazioni su cui saranno puntati i riflettori a Parigi.
Sebbene un recente sondaggio Legambiente il significato di COP21 sia conosciuto solo dal 29 per cento degli italiani, l’incontro è di cruciale importanza per il futuro del nostro Pianeta. COP21 si svolgerà all’ombra dei rapporti scientifici, non certamente entusiasmanti, che arrivano dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), che nel 2014 (l’anno più caldo in 135 anni) ha lanciato l’allerta: per contenere l’incremento di temperatura del Pianeta entro i 2 gradi centigradi, entro il 2100 i combustibili fossili dovranno essere eliminati come fonte di energia e entro il 2050 occorrerà incrementare la presenza di fonti a basse emissioni di inquinanti atmosferici, portandole a oltre la metà di tutte quelle disponibili. I 2 gradi di aumento della temperatura globale rappresentano il limite riconosciuto dalla comunità scientifica per evitare gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici.
Saranno presenti quarantamila persone, 25 mila delegati ufficiali, oltre 3000 giornalisti accreditati, centonovantacinque paesi del mondo – ossia quelli che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, trattato ambientale adottato per la prima volta durante la conferenza sul clima delle Nazioni Unite (il “Summit della Terra”) che si è tenuta a Rio de Janeiro nel 1992. La prima Conferenza delle parti, COP1, si è svolta invece nel 1995 a Berlino. La COP3, del 1997, portò al famoso protocollo di Kyoto, in cui veniva stabilita una riduzione delle emissioni di gas serra per i Paesi industrializzati.
Entrato definitivamente in vigore nel 2005 dopo anni di negoziati, prevede limitazioni soprattutto per i paesi già economicamente sviluppati ed è più morbido nei confronti di quelli in via di sviluppo. Il Protocollo di Kyoto, attualmente, è l’unico documento legalmente vincolante in tema di accordi climatici globali, sebbene lasci fuori paesi come l’India, la Cina e gli Stati Uniti.
Il protocollo di Kyoto, che scadrà nel 2020 e da più parti ci si augura sia superato in direzione di un accordo più moderno che includa anche economie potenti ed emergenti come quelle di Cina e India, ha vissuto una prima fase durante il periodo 2008-2012. Questo primo step ha riguardato 37 paesi oltre a quelli della Ue (a diverse grandi economie in via di sviluppo, come Cina, Corea del Sud e Messico è stato permesso di continuare a crescere senza nessun impegno a ridurre le proprie emissioni) che si sono dati da fare per diminuire le loro emissioni in media del 5 per cento, con riferimento ai livelli del 1990.
Finora, non sono ancora state tirate le somme. Si prevede però che l’ONU renderà pubblici i risultati di questa prima fase entro i primi mesi del 2016; i dati preliminari sono comunque promettenti e si vocifera di una diminuzione di circa il 22,6 per cento. Durante questa prima fase non hanno però partecipato grandi produttori di gas serra come Cina e Stati Uniti.
Durante i 12 giorni di negoziati di Parigi, le nazioni presentaranno le loro proposte di strategie. Finora sono 162 i paesi, responsabili del 96 per cento delle emissioni globali di CO2, che avrebbero una proposta pronta. Anche la Cina sarebbe in procinto di avanzare una strategia di riduzione che includa il raggiungimento di un picco di emissioni nel 2030 seguito da un impegno ad aumentare i combustibili non fossili. L’India, invece, non sembra ben disposta ad accettare limitazioni sull’uso di combustibili fossili anche se pare che presenterà comunque un suo impegno al 2030: un taglio della carbon intensity (cioè le emissioni di CO2 in rapporto al PIL) del 33-35 per cento rispetto ai livelli del 2005.
I 28 paesi dell’Unione Europea si presenteranno con l’impegno a ridurre entro il 2030 del 40 per cento le emissioni e l’Italia mira a raggiungere una riduzione del 50 per cento delle emissioni entro il 2050. Inoltre, il nostro Paese si farà promotore della proposta di abbassare il limite del riscaldamento globale ammissibile portandolo a 1,5 gradi, in modo da tutelare i piccoli arcipelaghi e le città che sono minacciate dall’innalzamento del livello dei mari. Altro tema a tenere banco sarà l’annunciato stanziamento di 100 miliardi di dollari annui che dovrebbero essere destinati ad aiutare i Paesi colpiti dalle conseguenze dell’effetto serra. Una cifra che però, secondo diverse ONG, sarebbe insufficiente a contrastare gli effetti del riscaldamento globale.