Agli otto vulcani già noti sommersi nel Mar Tirreno, se ne aggiungono sette, formando così una catena lunga 90 chilometri e larga 20. È questo il risultato delle ricerche condotte negli ultimi anni dagli studiosi dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dello IAMC-CNR, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e del GNS, Geological and Nuclear Sciences della Nuova Zelanda.
Agli otto vulcani già noti sommersi nel Mar Tirreno, se ne aggiungono sette, formando così una catena lunga 90 chilometri e larga 20. È questo il risultato delle ricerche condotte negli ultimi anni dagli studiosi dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dello IAMC-CNR, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e del GNS, Geological and Nuclear Sciences della Nuova Zelanda.
La pubblicazione su Nature Communications
Il lavoro, pubblicato il 13 novembre su Nature Communications, descrive la presenza di una catena di quindici vulcani sommersi che si sviluppa in una struttura lineare, in direzione Est-Ovest, nel Mar Tirreno meridionale.
Guido Ventura, vulcanologo dell’INGV e dello IAMC e coordinatore del gruppo di ricerca, ha spiegato: “Il Tirreno Meridionale è caratterizzato dalla presenza di numerosi vulcani, alcuni emersi, come le Eolie, altri sommersi, come il Marsili. Questa catena di vulcani recentemente individuata e descritta nello studio, si estende da circa 90 km a sud della costa di Salerno fino a 30 km a est della costa di Sangineto, in Calabria. La catena, definita del Palinuro, si estende in profondità da circa 3200 m a 80 m sotto il livello del mare. Questi vulcani rappresentano, nel loro insieme, una spaccatura della crosta terrestre dalla quale risalgono magmi provenienti dalle Isole Eolie, dal Tirreno centro-meridionale, e dall’area compresa tra la Puglia e la Calabria”.
Sviluppi futuri
La ricerca è ancora all’inizio: serviranno altri dati e campagne oceanografiche per completare il quadro della storia eruttiva della catena. I risultati raggiunti sino a ora, però, sembrano molto promettenti: rivoluzionano la comprensione dei processi dinamici che hanno coinvolto il Tirreno e delle zone di subduzione – aree in cui una zolla sprofonda al di sotto di quella adiacente – del mondo, donando nuovi spunti per la ricostruzione dell’evoluzione della crosta terrestre.