I meandri di un fiume che disegnano percorsi sinuosi, le ripide falesie e le morbide dune di una spiaggia o di un deserto. Queste sono solo alcune delle forme del paesaggio, il frutto del continuo modellamento della parte più superficiale del nostro pianeta. Gli scienziati della New York University si sono chiesti se queste sculture naturali abbiano memoria della propria storia. A cosa serve saperlo e come sono riusciti a trovare una soluzione a questo quesito? Continuate a leggere e lo scoprirete.
I meandri di un fiume che disegnano percorsi sinuosi, le ripide falesie e le morbide dune di una spiaggia o di un deserto. Queste sono solo alcune delle forme del paesaggio, il frutto del continuo modellamento della parte più superficiale del nostro pianeta. Gli scienziati della New York University si sono chiesti se queste sculture naturali abbiano memoria della propria storia. A cosa serve saperlo e come sono riusciti a trovare una soluzione a questo quesito? Continuate a leggere e lo scoprirete.
La geomorfologia
Spesso diamo per scontate le bellezze dei nostri territori. I paesaggi di tutto il mondo, oltre a possedere un valore estetico, a custodire tesori inestimabili di cultura e biodiversità, sono anche i testimoni dell’evoluzione della parte più esterna, più esposta della Terra. Questo è l’oggetto di studio della geomorfologia, la scienza che si occupa della comprensione dei processi di modellamento che interessano la superficie terrestre. La natura e l’uomo hanno plasmato ciò che appare oggi ai nostri occhi, indizi per risolvere una grande quantità di questioni che vanno dalla storia del nostro pianeta, alla pianificazione e progettazione di interventi antropici, passando per l’applicazione di queste conoscenze a corpi celesti lontani. Un esempio è la deduzione dei flussi di acque su Marte attraverso l’osservazione delle immagini che ci giungono dallo spazio. Alla luce di tutto questo, scoprire se le forme del paesaggio conservino traccia del loro stato iniziale è sicuramente un punto da chiarire.
Dolci esperimenti
L’esperimento, condotto da un team di matematici, per scoprire se il paesaggio possegga memoria della propria formazione, può essere definito alquanto dolce. Gli autori dell’articolo pubblicato su Physical Review Fluids hanno replicato i materiali solubili che si trovano in natura – ad esempio il calcare – con un sostituto facilmente reperibile: pezzi di caramelle. In particolare, hanno cercato di capire come le caramelle si dissolvessero per dare origine a differenti forme quando posizionate in acqua.
Forme del paesaggio “smemorate”
Per imitare condizioni ambientali differenti, sono state utilizzate caramelle con differenti forme iniziali, che a loro volta avrebbero portato a diversi flussi del liquido man mano che la superficie si fosse dissolta. I risultati hanno mostrato che quando la caramella si è sciolta maggiormente nella sua superficie inferiore, la sua forma d’insieme si è conservata, mostrando una buona memoria. Invece, quando la dissoluzione ha coinvolto la superficie superiore, il materiale ha cancellato, “dimenticato”, la propria conformazione iniziale, dando vita a una struttura a punta. La chiave attraverso cui leggere questo fenomeno è il tipo di flusso dell’acqua: flussi turbolenti, in profondità, dissolvono la caramella (o le rocce solubili) in maniera uniforme, preservandone la forma mentre il flusso laminare sulla superficie superiore porta ciò che è stato dissolto da una posizione a un’altra, cambiando il tasso di dissoluzione e causando cambiamenti nella forma.
Leif Ristroph, professore presso il New York University’s Courant Institute e autore dell’articolo, ha commentato: “Una caramella nell’acqua può sembrare lontana dalla geologia ma ci sono, in realtà, interi paesaggi scolpiti a partire da minerali dissolti in acqua, le loro forme sono state rivelate quando la tavola d’acqua si è ritirata. Grotte, doline, colonne di pietra e altre tipi di territori rocciosi sono nati in questo modo”.
La geomorfologia ha ancora molto da raccontarci. Troverete una delle sue narrazioni più avvincenti nell’articolo “La lunga storia delle Dolomiti” di Alina Polonia, corredato dalle fotografie di Fabiano Ventura e Sarah Gainsforth, pubblicato nel numero di febbraio 2018 di Sapere.