La maschera di contrasto, detta anche sharpening, è una correzione indispensabile nelle fotografie digitali perché serve per rimediare a una limitazione della fotografia digitale a colori.
In un qualsiasi processo di postproduzione, questa deve essere effettuata sempre alla fine del lavoro, sul file già pronto e ridimensionato per l’output a cui è destinato.
Nell’articolo “Fotografia digitale: dal sensore all’immagine” ho spiegato il principio della demosaicizzazione. Suggerisco di leggerlo prima di proseguire, se non avete ben chiaro il concetto.
Immaginate una foto in cui un cielo azzurro fa da sfondo a un albero da cui sporge una foglia verde.
Un esempio di “demosaicizzazione”
Ora selezioniamo una riga di pixel che vanno dal cielo alla foglia. Avremo tanti pixel azzurri finché iniziano quelli verdi della foglia (ipotizzando che ci sia un bordo nettissimo della foglia).
La demosaicizzazione interpola ogni pixel con quelli adiacenti per ricavare il colore. Immaginando il cielo uniforme, i pixel, interpolati fra loro, risulteranno tutti azzurri. Ma gli ultimi pixel del cielo che hanno accanto i primi pixel verdi della foglia vengono interpolati anche con questi e il loro colore sarà una via di mezzo fra l’azzurro e il verde.
La stessa cosa accade ai primi pixel verdi della foglia che, interpolati con gli ultimi del cielo, saranno anch’essi una via di mezzo fra il verde e l’azzurro.
A causa della demosaicizzazione non è possibile, quindi, avere bordi netti, ma saranno sempre sfumati.
La conclusione è che le fotografie ottenute dai sensori col filtro di Bayer non sono nitide, al di là della qualità degli obiettivi.
Applicare la maschera di contrasto o sharpening
Il rimedio a questo inconveniente è la “maschera di contrasto” che migliora “apparentemente” la nitidezza.
In pratica il software individua tutti i bordi dell’immagine (come il bordo della foglia), e ogni bordo ha un lato più chiaro e uno più scuro.
I pixel in prossimità del bordo della parte più chiara vengono schiariti, mentre quelli della parte più scura, scuriti. Vengono creati due cosiddetti aloni, uno chiaro e uno scuro.
In figura, con un fortissimo ingrandimento, vediamo nel dettaglio i due aloni. Ma, nella visualizzazione normale dell’immagine, non percepiamo affatto gli aloni, soltanto una maggiore nitidezza che, come dicevo, è solo apparente.
La foto in basso dimostra chiaramente l’effetto della maschera di contrasto.
Questo è il concetto di base della maschera di contrasto. Sembra semplice, ma non lo è affatto, soprattutto quando vogliamo ottenere dei risultati altamente professionali.
Gli aloni in relazione alle frequenze spaziali
In una qualsiasi immagine avremo dettagli più o meno piccoli, definiti frequenze spaziali. Più è piccolo il dettaglio, maggiore è la sua frequenza spaziale.
Occorre selezionare con attenzione le frequenze spaziali su cui intervenire e scegliere lo spessore e l’intensità degli aloni, ma non solo.
Gli aloni chiari risultano molto evidenti rispetto a quelli scuri, è opportuno quindi dosarli diversamente.
Infine, i parametri che sceglieremo per eseguire lo sharpening dipendono molto dalla definizione dell’immagine (il numero di pixel da cui è costituita) e dal tipo di output. Per questo dicevo che è un lavoro da fare sull’immagine ridimensionata, già pronta per l’output.
Quando l’output è la stampa, per esempio, per una precisa valutazione deve essere eseguita una prova di stampa. Di norma, nelle stampe, la maschera di contrasto che a monitor sembra ottimale risulta un po’ meno efficiente. Ovviamente mi sto riferendo a lavori di grande pregio.
Concludo con un appunto.
Quando dicevo che serve per rimediare a una limitazione della fotografia digitale a colori, mi riferivo alle immagini che nascono a colori come tutte quelle prodotte da sensori col filtro di Bayer.
Dunque per le foto convertite in bianco e nero, lo sharpening serve ugualmente.

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