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26 Ott 2021

Le dimensioni delle immagini digitali: risoluzione e definizione

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Quello che riguarda risoluzione e dimensioni delle immagini digitali è un argomento semplicissimo, eppure talvolta può essere difficile comprenderlo perché sviati da termini errati e falsi miti. Tutto parte da una mancata comprensione di questi due concetti. Analizziamoli.

 

Pixel, risoluzione, dimensioni dell’immagine

Le immagini raster (di cui abbiamo già parlato qui) sono composte da quadratini detti pixel (da picture elements). Questi, come le immagini stesse, non hanno dimensioni fisiche. Le assumeranno solo quando verranno visualizzati su un dispositivo, per esempio il monitor, o quando verranno stampati. Il numero di pixel della base e dell’altezza va a rappresentare le dimensioni di un’immagine, ovvero la sua definizione.

 

fig 1

 

Le dimensioni dell’immagine a cui fa riferimento la figura in alto sono 6016 x 4016 px. Questa è un’immagine da 24 milioni di pixel (6016 x 4016 = 24 160 256), possiamo quindi considerarla ad alta definizione.
Invece, molto spesso, si parla impropriamente di alta risoluzione. Immediatamente sotto le dimensioni, in figura, c’è infatti la risoluzione di stampa – in questo caso di 240 pixel per pollice – da cui dipendono le dimensioni che avrà la stampa se nulla verrà variato. Stampando alla risoluzione di 240 pixel per pollice (PPI), la stampa viene 63,67 x  42,5 cm (figura in basso).

 

fig 2

 

La risoluzione è un metadato che viene preso in considerazione solo in fase di stampa, non influisce in alcun modo sulla qualità dell’immagine (il file, non la stampa), e può quindi essere cambiato senza che il file si modifichi. Infatti, modificandolo in 72 PPI (come in figura), togliendo la spunta al ricampionamento, le dimensioni della stampa sono notevolmente aumentate (212,23 x 141,68 cm), ma quelle del file sono sempre 6016 x 4016 px. Pertanto non ha alcun senso parlare di risoluzione finché le immagini non vengono stampate.

 

DPI: un termine usato male

Comunemente la risoluzione viene espressa in DPI. Questo è un errore! DPI sta per dots per inch, indica quanti punti per pollice vengono stampati. Per “punti” intendiamo le micro goccioline di inchiostro depositate dalla stampante inkjet, che variano da modello a modello. Ogni singolo pixel stampato è composto da minuscoli punti di inchiostri diversi miscelati per ottenere il colore esatto. Quanti punti per pollice lineare depositi la stampante non è un dato che ci interessa, né possiamo modificarlo, è un parametro intrinseco della specifica stampante.
Le dimensioni fisiche dei punti pongono un limite alla risoluzione di stampa che, generalmente, non può andare oltre i 300 PPI. A questa risoluzione i pixel stampati sono quadratini di 0,085 mm. Da vicino, pur avendo una vista perfetta, è impossibile riuscire a distinguerli. In realtà non riusciamo a vederli nemmeno con una risoluzione di 240 PPI, e poi nessuno guarda una fotografia da una distanza di pochi centimetri.

Immaginiamo di voler stampare la foto con le dimensioni originali a una risoluzione di 300 PPI.

 

fig 3

La stampa viene 51 x 34 cm. Grandicella, noi volevamo un formato 30 x 20 cm! Se aumentassimo la risoluzione a 509.3 PPI (calcolata da Photoshop in un istante) avremmo il formato desiderato, ma non serve a niente andare oltre i 300 PPI, e poi una comune stampante fotografica non lo permetterebbe. Non ci resta che far ricampionare l’immagine modificandone il numero di pixel, come mostrato nella figura seguente, che diventano 3543 x 2365.

 

fig 4

 

Ora sì che abbiamo modificato il file, è diventato più piccolo anche in termini di MB. L’immagine ora ha una definizione inferiore perché 6000 x 4000 pixel sono davvero tanti per stampe di medio formato.
Un pollice corrisponde a 2,54 cm, quindi alla generosa risoluzione di 254 PPI è facilissimo fare i conti: immagini 6000 x 4000 px, stampate sono poster da 60 x 40 cm! Come vediamo, il mito dei 300 PPI non sempre ha senso.

Sergio Nuzzo
Sergio Nuzzo
Tecnico elettronico, ha iniziato la carriera lavorativa nell’ambito della strumentazione scientifica, lavorando per due delle più importanti aziende a livello mondiale, in veste di Field Service Engineer. Dal 1994 è Collaboratore Tecnico dell’Istituto per i Processi Chimico-Fisici, sede di Bari, del Consiglio Nazionale delle Ricerche.Fotoamatore fin da giovanissimo, sviluppa particolare interesse per la scienza e la tecnologia della fotografia digitale. Grazie alle conoscenze acquisite con i suoi studi, con l’autorizzazione del suo Ente, ha collaborato con un’importante azienda del settore fotografico, tenendo corsi e lezioni aperte per fotografi professionisti.
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