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30 Set 2019

Acceleratore Covid-19

Nicola Armaroli

Nicola Armaroli
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Viviamo da settimane in un tritacarne destinato a durare ancora a lungo. Nel diluvio di messaggi seri, tristi, ironici e sarcastici che, come tutti, ho ricevuto via social durante la quarantena, ce n’è uno che non dimenticherò. Era in inglese e diceva più o meno così: Sembra quasi che la Natura ci abbia costretti a rinchiuderci in camera per meditare su cosa abbiamo combinato. E, in effetti, nel silenzio della mia camera, talvolta immerso in letture a ritmi che avevo dimenticato, ho realizzato che il maledetto virus SARS-CoV-2 (che ha causato la pandemia Covid-19) mi ha offerto l’opportunità di capire in fretta molte cose. Un processo di apprendimento fulmineo, come non mi capitava da tempo. Anzi, forse non mi era mai capitato con questa intensità. E allora vi propongo alcune delle cose che credo di aver capito nella costrizione dell’isolamento, sperando che possano essere di qualche interesse e rubando eccezionalmente più spazio del solito.

 

• Negli anni ’80, il presidente statunitense Reagan affermò: «Lo Stato non è la soluzione, ma il problema». Allo scoppio della pandemia, il mercato non offriva dispositivi di protezione e ventilatori a sufficienza, sono dovuti intervenire pesantemente gli Stati. Se avessimo aspettato il salvifico mercato, saremmo quasi tutti morti. La situazione è destinata a ripetersi al prossimo disastro perché nessuna azienda privata metterà mai da parte scorte di un prodotto, qualsiasi prodotto, in attesa di venderlo in un futuro indefinito. La famosa frase di Reagan – spesso declamata come un versetto del Vangelo – merita un giusto ridimensionamento.
•La sanità pubblica è stata indebolita per decenni in quasi tutto il mondo e, fino a tre mesi fa, ci avevano quasi convinti che fosse una buona idea. Ora invece sappiamo che un’emergenza sanitaria globale, in grado di causare milioni di morti in poche settimane, richiede un poderoso sistema sanitario pubblico, capillarmente presente su tutto il territorio nazionale. Il confronto tra la risposta della Lombardia e del Veneto alla pandemia e il timore di uno tsunami sanitario nelle regioni del sud, con presidi sanitari pubblici più deboli, ha chiarito le idee. I dubbi sull’importanza della sanità pubblica sono di colpo svaniti.
•Gli allarmi dell’OMS e degli scienziati sul rischio di una pandemia influenzale sono stati ignorati a lungo da tutti i governi. Leggere rapporti, articoli, libri che sono stati scritti cinque, dieci o venti anni fa lascia costernati. Era solo una questione di quando, non di se: era tutto scritto. I processi di devastazione degli habitat naturali e la crescita continua della popolazione urbana sono le condizioni ideali per favorire l’intensificazione dei fenomeni pandemici. La buona notizia è che al prossimo giro potremo farci trovare più preparati. La pessima notizia è che esistono virus ancora più cattivi di SARS-CoV-2 e, per quanto possa sembrare cinico scriverlo, la pandemia 2020 potrebbe rivelarsi una tragica quanto utile esercitazione planetaria.
•Per anni le manovre di bilancio hanno tagliato sanità, scuola, ricerca scientifica, infrastrutture, opere pubbliche. La crisi Covid-19 ha obbligato ad andare nella direzione opposta: assunzione lampo di personale sanitario, marcia indietro sui posti di terapia intensiva, finanziamenti alla ricerca, piani infrastrutturali per eliminare il digital divide e rendere accessibile a tutti l’istruzione a distanza. Gli inutili rami secchi sono diventati improvvisamente indispensabili; quei “risparmi” si sono trasformati in incubi, portandoci sul baratro della rovina economica e sociale. È più facile prevenire che curare: una non-scoperta preziosa per la Grande Crisi in atto, quella climatica, che richiede enormi investimenti sugli ex rami secchi. Subito, non domani.
•La gestione planetaria dei rischi è tarata sul XX secolo. Il budget 2019 del Pentagono era di 685 miliardi di dollari, quello per i Center for Disease Control di 7 miliardi. Un virus che ha fatto molti più morti della guerra in Vietnam non si combatte con missili e bombardieri. Il concetto di difesa va totalmente ridefinito, guardando avanti e non indietro.
•Le minacce globali sono molteplici (ne parleremo nel prossimo numero speciale!), quindi non ci sono alternative alla cooperazione internazionale perché nessun Paese può bastare a se stesso, in ogni settore. I cosiddetti sovranisti hanno scoperto che i loro peggiori nemici sono i sovranisti oltre il proprio confine. Ma i disastri globali e le loro conseguenze non conoscono frontiere e la fregatura si è materializzata in un attimo. Fine dello spettacolino.
•Ora lo sappiamo: le catene di approvvigionamento in un’economia globalizzata sono complesse e interconnesse, tutti dipendono da tutti. Allo scoppio della pandemia molti governi hanno chiuso le frontiere per impedire che i propri respiratori e le proprie mascherine andassero all’estero. Entrati però nei magazzini li hanno trovati vuoti. Anzi, quei magazzini non c’erano proprio. Credevamo di sapere tutto sulla globalizzazione, ma evidentemente qualche dettaglio importante ci era sfuggito.
•Abbiamo finalmente capito l’importanza cruciale di politiche industriali lungimiranti. Una delocalizzazione senza regole, in un mondo in cui ogni Paese risponde ai disastri per conto proprio, presenta rischi che non avevamo messo in conto sino a tre mesi fa. La crisi Covid-19 ha immediatamente promosso a “strategici” il settore alimentare e farmaceutico. Ci si poteva pensare anche prima, ma meglio tardi che mai.
•Abbiamo messo alla prova i nostri punti di forza e di debolezza. La cucina italiana è la migliore al mondo, ma ora finalmente tutti sanno che l’Italia non ha l’indipendenza alimentare: troppi abitanti in relazione ai terreni coltivabili. Stessa cosa per la nostra formidabile industria manifatturiera, che poggia quasi integralmente su materie prime importate. D’altro canto, però, l’Italia è il Paese con la miglior offerta culturale, artistica e paesaggistica al mondo. Insomma, è praticamente impossibile trovare un Paese che abbia la necessità di essere aperto al mondo più dell’Italia. Se ne faccia una ragione chi accarezza continuamente l’idea di steccati, chiusure e autarchie.
•La crisi Covid-19 ha portato velocemente alla luce le diseguaglianze che attraversano tutto il pianeta. Nelle nazioni più sviluppate, il tasso di decessi tra le fasce più disagiate della popolazione è più del doppio della media nazionale. Le statistiche sembrano suggerire che il virus abbia risparmiato i Paesi più poveri, ma scopriremo presto una realtà tragica: in quei Paesi non vi è modo di prendersi cura dei malati e contare le vittime. Un mondo globalizzato in cui i poveri sanno di essere poveri sarà sempre più instabile. Un’economia che distrugge la classe media e concentra enormi ricchezze nelle mani di pochissimi è una minaccia per la nostra civiltà che non possiamo più infliggerci. Teniamo un occhio sulle periferie impoverite delle metropoli occidentali.
•La nostra principale fonte energetica resta il petrolio. Un liquido straordinario perennemente in balia degli eventi del momento ed estratto con tecniche sempre più estreme ed economicamente discutibili. La crisi Covid-19 ne ha affossato il prezzo. Se questo livello sarà tenuto a lungo, tante aziende del settore falliranno, offrendo una spinta inattesa alla transizione energetica. Se, al contrario, il settore dei combustibili fossili passerà indenne questa bufera ci sarà ugualmente una vittima: il clima, con impatti disastrosi per tutti. •Chi preferiamo cada dalla torre, il petrolio o il clima? Nell’ultimo decennio, i danni economici dei disastri “naturali” legati al cambiamento climatico ammontano a oltre 3000 miliardi di dollari. Chi fa i conti li faccia sino in fondo, specie ora che sta per essere versato un flusso immenso di denaro pubblico per sostenere l’economia mondiale.
•In tre mesi abbiamo imparato a utilizzare numerose piattaforme online per il telelavoro. La cosa non ci piace molto, perché siamo costretti a farlo. L’esperimento forzato ha però evidenziato che è possibile rendere il lavoro più flessibile, con benefìci per tutti, incluso il traffico e la qualità dell’aria nelle città. Ho tenuto lezioni e teleconferenze a centinaia di persone, che hanno partecipato in maniera ancora più attiva alla discussione che dal vivo. Abbiamo risparmiato tempo e ridotto le emissioni di CO2, senza perdere molto in termini di contenuti. Come comunità scientifica, chiediamoci con franchezza se sia giunto il momento di ridurre il numero dei nostri estenuanti viaggi, utilizzando più intensamente i mezzi che noi stessi abbiamo creato. Anche la qualità della nostra vita migliorerebbe. Ben diverso è il discorso per la scuola: l’insegnamento a distanza ha tenuto a galla il sistema educativo nell’emergenza, ma evidentemente non potrà diventare la norma.
•Con la stessa velocità di diffusione del virus, dilagano le fake news. La patacca numero uno è quella secondo cui il virus sia stato fabbricato in laboratorio e messo in giro ad arte. Ho realizzato che un sacco di persone, anche intelligenti e preparate, ci credono. Non serve a nulla far notare che: a) non esiste uno straccio di prova; b) si tratterebbe dei cattivi più stupidi del mondo, dato che usare l’oggetto più incontrollabile che esista – un virus – per danneggiare il nemico sarebbe un’idiozia assoluta. Ignoro quale meccanismo porti la mente a cercare spiegazioni semplici e consolatorie a catastrofi come questa. Eppure anche la spiegazione reale è semplicissima: virus mortali hanno talvolta l’occasione di passare dagli animali all’uomo e le pandemie avvengono. Oppure abbiamo cancellato dalla mente che, in 35 anni, il virus HIV ha sterminato oltre 32 milioni di persone? Sarà mica perché pensiamo che se lo siano andati a cercare?
•Le persone sono rimaste disorientate dalle dispute tra i virologi (a volte, davvero al limite del buongusto). Ora spero che quello che cerco di trasmettere, anche qui, da anni, sia diventato un po’ più evidente. La scienza e la tecnologia sono imprese umane complesse e faticose che richiedono ingenti risorse umane e tempi lunghi. La quantità di cose che non sappiamo o non riusciamo a fare resta sterminata. Il dispiegamento straordinario di persone impegnate a studiare SARS-CoV-2 permetterà di conoscere un po’ più in fretta questo mostro. Tuttavia ci vorrà molto tempo prima di mettere a punto un vaccino, produrlo in miliardi di dosi e somministrarlo in ogni angolo del mondo. Potremmo anche non riuscirci. Purtroppo la scienza e la tecnologia non sono la soluzione a tutti i nostri problemi, meno che mai quando la stupidità umana supera ogni ragionevole limite. Distruggere indiscriminatamente ambienti naturali favorendo il “salto” dei virus dagli animali all’uomo è un confine di stupidità che abbiamo travolto da tempo. Uno dei tanti.
•Per uscire da questo incubo c’è una sola ricetta: nuove IDEE. Nuove IDEE per lavorare, nuove IDEE per imparare, nuove IDEE per creare, nuove IDEE per coltivare le relazioni umane e nuove IDEE per divertirci. Se progettiamo il futuro con la testa di sei mesi fa, rischiamo davvero di uscirne a pezzi.

 

In quattro settimane, la più insignificante forma di vita sulla Terra ha messo in ginocchio l’economia mondiale e il nostro stile di vita. Non ci resta che ammettere sportivamente che si trattava di edifici profondamente difettosi. La necessità del tracciamento degli infetti mette addirittura in crisi l’idea di libertà individuale e democrazia. Nessuno ha idea di come finirà, ma i fotogrammi e le storie della pandemia 2020 sono già impressi nella nostra mente: i camion dell’esercito che decongestionano gli obitori di Bergamo, il sacrificio di tanti operatori sanitari, una carneficina di anziani senza precedenti, l’impreparazione globale all’evento, la presa d’atto della nostra insormontabile vulnerabilità di fronte alle forze della Natura.
Ho come la sensazione che, in futuro, chi non avrà vissuto di persona questa tragedia parlerà di una grande accelerazione storica e culturale, che offrì la possibilità di cambiamenti epocali. Noi che c’eravamo, verremo ricordati come quelli che hanno colto o sprecato l’occasione?
Non chiedetemi come la penso, tanto non ve lo dico.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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