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30 Set 2019

Basta struzzi

Nicola Armaroli

Nicola Armaroli
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Noi nati negli anni ’60 siamo cresciuti a pane e Guerra fredda. Ai tempi del liceo abbiamo manifestato contro le basi missilistiche in Europa e abbiamo macinato film e libri che parlavano di spie, rifugi antiatomici e inverno nucleare. Era tutto sommato un mondo semplice: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra.

Noi nati negli anni ’60 siamo cresciuti a pane e Guerra fredda. Ai tempi del liceo abbiamo manifestato contro le basi missilistiche in Europa e abbiamo macinato film e libri che parlavano di spie, rifugi antiatomici e inverno nucleare. Era tutto sommato un mondo semplice: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra.
Scagli la prima pietra chi non ricorda il babbo o il nonno sbraitare contro amici che avevano un’opinione opposta alla loro su buoni e cattivi. Nel mondo tagliato con l’accetta della nostra infanzia e gioventù abbiamo rischiato ripetutamente di essere cancellati dalla faccia della Terra da una guerra nucleare. Ogni volta, però, abbiamo avuto la fortuna di trovare uomini intelligenti e coraggiosi che hanno evitato il peggio, tra questi l’astro nascente Bob Kennedy (principale consigliere del fratello Presidente, John) nel 1962 o l’oscuro colonnello dell’Armata Rossa Stanislav Petrov nel 1983. Due persone cui l’umanità non è stata particolarmente grata.
Con questa formazione culturale – e con la cicatrice del vaccino del vaiolo ben stampata sul nostro braccio – noi ragazzi della Guerra fredda siamo rimasti costernati dall’attacco non convenzionale di COVID-19. Il mostro è arrivato dalla Cina: fin qui i nostri schemi, che prevedevano invasioni comuniste da est, hanno tenuto. Tuttavia, si è fatto strada senza fuoco e fiamme, e ci siamo rassegnati all’invasione solo quando siamo stati confinati in casa con il nemico in corpo. Tendiamo infatti a credere solo alle cose che vediamo, quindi rigettiamo istintivamente l’idea di un oggetto di circa 100 miliardesimi di metro che si riproduce silenziosamente dentro le nostre cellule. Mentre vi scrivo, molti cittadini di tutta Europa (e non solo) credono ancora che il killer invisibile non li riguarderà: pare non si trovi nessuno che abbia il coraggio di deluderli. Fra pochi giorni se ne pentiranno.
Era impossibile prevedere il mostro? No, i centri di ricerca e le autorità sanitarie internazionali sollevavano da tempo l’allarme. Nel maggio 2017 una copertina inquietante del settimanale Time scriveva: “ATTENZIONE: non siamo pronti per la prossima pandemia”. Evidentemente, non era un segreto di Stato. Del resto quasi nessuno lo sa, ma l’abbiamo già scampata più volte: nel 2016 il virus H7N9 (la cosiddetta “aviaria”) ha causato la polmonite nell’88% degli infettati, di questi il 75% sono finiti in terapia intensiva e il 41% sono morti. Se il virus H7N9 acquisisse la capacità di passare da persona a persona risolverebbe in modo sbrigativo il problema della sovrappopolazione, sconquassando la nostra civiltà. Anche Ebola rimane un rischio piuttosto serio.
Di fronte a queste minacce esiziali e certificate, assistiamo in questi giorni al pietoso spettacolo di governi che sbarrano i confini o vietano l’esportazione di dispositivi medici. Non esiste un minimo di coordinamento internazionale per affrontare un rischio globale con caratteristiche uniche: non è geograficamente confinabile, distrugge le persone da dentro e non da fuori, colpisce duramente i soccorritori, lascia intatte tutte le infrastrutture tranne quelle ospedaliere.
Ancora una volta agiamo solo in base all’emergenza, e questo è disperante. Nell’emergenza, però, adottiamo in breve tempo misure straordinarie che solo tre giorni prima ci sarebbero parse fantascienza. Lo dico con forza: la nostra civiltà – complicatissima e interconnessa, lontana ormai anni luce da quella della Guerra fredda, ma ancora più fragile – è con il grilletto alla tempia a causa non di uno, ma di tre rischi micidiali che richiedono sforzi internazionali drastici e immediati: cambiamento climatico, pandemie, e (ancora) guerra nucleare. Che la batosta serva a stamparci nel cervello questa scomoda verità.
Bob Kennedy e Stanislav Petrov ci mancano tanto. Cercansi leader e persone coraggiose e lungimiranti all’altezza di quello che non possiamo più rimandare.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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