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08 Feb 2022

Il risiko delle batterie

Nicola Armaroli

Nicola Armaroli
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Mi sono laureato in Chimica nel 1990 e non ho ricordi di pomeriggi passati a studiare il litio. Appena un anno dopo, fu messa in commercio la prima batteria agli ioni di litio (la Lithium Ion Battery, LIB) per alimentare dispositivi portatili. Da allora, la fama del metallo più piccolo e leggero dell’Universo – un nanetto capace di saltellare come nessun altro tra i poli delle batterie – decollò.
Il debutto commerciale della LIB fu una tappa chiave tra i primi studi (inizio anni ’70) e il premio Nobel per la Chimica ai suoi inventori, assegnato nel 2019 con scarso tempismo: uno dei tre premiati aveva 97 anni e le LIB avevano dimostrato da tempo di essere una tecnologia dirompente. Senza di esse, oggi non avremmo per esempio uno smartphone tuttofare in tasca, auto a batteria che percorrono centinaia di km, accumulatori che forniscono elettricità quando il Sole non splende o il vento non soffia.

 

La filiera delle LIB

Le LIB sono protagoniste della transizione energetica, questo però non implica – come qualcuno sostiene – che il litio sarà il «petrolio del XXI secolo», con il fulcro energetico del mondo spostato dal Golfo Persico al Sudamerica (il Salar de Uyuni, in Bolivia, è considerato il più grande deposito di litio al mondo). Un metro cubo di benzina contiene una quantità di energia almeno 15 volte maggiore di un metro cubo di LIB (che l’energia la accumula, non la genera!). Il primo, però, è un prodotto meno “nobile” del secondo, ottenuto in centinaia di impianti di raffinazione simili sparsi in tutti i continenti. Una LIB è un oggetto molto più sofisticato e la sua filiera è più strutturata e distribuita: le risorse minerarie sono principalmente in Australia e Sudamerica, la raffinazione dei minerali e la fabbricazione dei componenti delle celle (gli elettrodi, per esempio) vedono un predominio della Cina, la produzione dei pacchi batteria è concentrata in Cina e in Corea.
Quindi, per dominare il mercato delle LIB, non basta avere le miniere: serve molto di più, e proprio per questo le cose stanno cambiando rapidamente. Si cercano (e si trovano) nuovi depositi di litio in vari continenti, l’Europa espande la quota di mercato sui componenti, si moltiplicano progetti per assemblare pacchi batteria in gigafactories. Vi è un fervore incredibile nella ricerca di nuovi materiali per catodi, anodi, elettroliti. In alcuni settori (automobili, stoccaggio rinnovabili, ecc.) l’uso del cobalto nei catodi è in calo mentre, laddove il volume della batteria non è un limite, il sodio si candida a sostituire il litio. Questo può avere un effetto dirompente: le riserve di sodio sono immense e ovunque, nei mari e sui continenti.

 

 

Verso filiere produttive circolari?

Vi è giustamente molta attenzione sull’impatto delle attività estrattive non solo del litio, ma di tutti i materiali presenti nelle LIB: nichel, manganese, cobalto, grafite, alluminio, rame. Accendere i fari sull’industria estrattiva è un bene, poiché tutto quello che utilizziamo è in qualche modo “estratto” da qualche parte… Quando parliamo di batterie, però, dovremmo considerarle anche un’occasione straordinaria per realizzare finalmente filiere produttive circolari. Durante la vita utile di una batteria, i materiali in parte si degradano, ma da quel pacco non esce nulla e il suo contenuto può e deve essere recuperato: l’estrazione dei minerali avviene solo una volta, in seguito c’è il riciclo. Una situazione opposta al modello lineare dei combustibili fossili, comodissimi e potenti, ma convertiti usa-e-getta in CO2 utilizzando l’atmosfera come discarica.
Non sappiamo come finirà il risiko del litio e delle batterie, ma è certo che questa tecnologia sarà la chiave dell’elettrificazione per la transizione energetica e lo stress test della transizione ecologica. La produzione e il riciclo sostenibile delle LIB sono un’opportunità straordinaria, forse unica, per un Paese manifatturiero come l’Italia. Muoviamoci oggi, perché domani può essere tardi.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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