Negli anni ’70, da bambino, ho passato intere serate ad ascoltare parenti e conoscenti che mi raccontavano come si viveva in tempo di guerra. Erano trascorsi appena trent’anni e i loro ricordi, ancora vivi, mi trascinavano impietrito dentro un rifugio antiaereo o mi facevano gioire per l’arrivo dei liberatori, come fossi lì anch’io.
Una lezione di vita
Il meno loquace di tutti sull’argomento era mio nonno Giuseppe, per tutti Pippo. Era stato deportato in un campo di concentramento in Germania come prigioniero politico, salvando la sua vita e quella di altri con una vicenda da film: forse non aveva bei racconti per i nipoti. Una sola cosa ripeteva spesso, con sorriso beffardo. Prima della guerra gli antifascisti in paese si contavano sulle dita di una mano, quando tornò erano diventati centinaia. Persino alcuni persecutori di un tempo avevano optato per la nuova camicia, di colore diverso. Non mostrava alcun rancore. Una lezione di vita immensa, mai sbandierata.
Una guerra infinita?
Il palcoscenico di guerra della mia generazione si spostò presto dalle testimonianze dei sopravvissuti alla Tv. Un macabro telegiornale che per noi dura ininterrottamente da cinquant’anni. Se attingo ai ricordi, mi passano per la mente immagini da tutto il mondo: Vietnam, Cile, URSS-Afghanistan, Iran–Iraq, Falkland, Grenada, Prima e Seconda guerra del Golfo, Ruanda, Balcani, Libano, Gaza, Iraq, NATO-Afghanistan, Somalia, Libia, Siria, Georgia, Sudan, Yemen, Ucraina. Il nostro archivio-immagini racconta solo una parte delle decine di conflitti dell’ultimo mezzo secolo, spesso dimenticati o rimossi. Anche l’Italia, pur ufficialmente in pace, ha conosciuto in questi decenni una sanguinosa violenza terroristica con centinaia di morti. È il prezzo che abbiamo pagato anche per la nostra esposizione geografica e politica: cerniera tra Nord e Sud, frontiera tra Est e Ovest.
Gli ultimissimi custodi della memoria hanno ormai raggiunto i novant’anni. La quasi totalità degli italiani non ha mai vissuto l’orrore di una guerra, il grande colpo di fortuna della nostra vita. Una fortuna che non si ferma qui: viviamo in un continente che ci garantisce un invidiabile livello di libertà, democrazia e stabilità sociale, almeno se confrontato a quasi tutto il resto del mondo. Sarà anche per questo che abbiamo maturato un ingiustificato senso di superiorità: diamo patenti di affidabilità a pessimi dittatori e autocrati finché ci servono, ma siamo pronti a ripudiarli al bisogno – con tanto di giustificazioni morali – per abbracciarne altri, talvolta peggiori. Mostriamo una giusta indignazione verso chi invade militarmente una nazione sovrana, ma tendiamo a dimenticare che lo abbiamo fatto anche noi, causando centinaia di migliaia di morti innocenti. La nostra colpa non è inferiore perché abbiamo diluito un po’ la faccia in “coalizioni di volonterosi” o creduto ciecamente a inesistenti “prove schiaccianti” brandite nei più alti consessi mondiali. Se penso poi al furore con cui una lunga lista di nazioni africane vuole cancellare la presenza dell’antica potenza coloniale europea, fatico a immaginare che abbiamo lasciato bei ricordi.
L’ultima frontiera di noi fortunati guerriglieri da salotto è discutere se sia giusto o meno inviare armi all’Ucraina, senza porci troppe domande se una guerra infinita sia la soluzione migliore non solo per l’ennesimo popolo di confine martoriato da anni di guerre, ma anche per il resto del mondo. L’Unione Europea potrebbe aiutarci a dibattere più utilmente un suo piano di pace, come altri hanno tentato di fare, ma è un regalo che per ora non vuole farci. Non resta che combattere un’altra guerra in Tv, sperando che rimanga tale.
La crisi sistemica della nostra civiltà sta creando le condizioni per una tempesta perfetta che può decretare la fine dell’epoca d’oro delle nostre guerre dal salotto. Forse è il momento buono per rispolverare la lezione del burbero Pippo. E di tanti come lui che avevano capito che rinfacciarsi in eterno crimini e torti è solo l’anticamera dell’inferno. Quell’inferno che loro avevano visto in faccia e non volevano rivedere mai più, neanche nei ricordi.
Grazie a Luciano Canfora e ai tanti colleghi che in questo numero ci aiutano a riflettere su un tema più attuale che mai. Purtroppo.