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25 Lug 2023

Lezione Zaporižžja

Nicola Armaroli

Nicola Armaroli
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La centrale nucleare ucraina di Zaporižžja, sulle sponde del fiume Dnepr, è la più grande d’Europa e la nona al mondo: 6 reattori per un totale di 5700 MW.

In questi 18 mesi si sono susseguiti diversi allarmi sullo stato di sicurezza dell’impianto, nel quale lavorano migliaia di ucraini, sotto il controllo dei militari russi e in presenza di osservatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA). A che punto siamo?

 

Una situazione molto difficile

La risposta è tristemente semplice: non lo sappiamo con precisione, per almeno tre motivi.

  • Nulla di quanto raccontato dai due contendenti sulla situazione a Zaporižžja è credibile. Basta ricordare che, ufficialmente, non sappiamo ancora nulla sui gravi attentati a due enormi infrastrutture energetiche come i gasdotti Nord Stream e la diga di Kakhovka: molta propaganda da parte di entrambi, zero prove attendibili.
  • La situazione è del tutto inedita: mai una centrale nucleare si è trovata su un campo di battaglia. Stiamo imparando giorno per giorno, e purtroppo non è una simulazione.
  • Talvolta è emerso che né i comandi russi né quelli ucraini abbiano il totale controllo delle truppe sul campo. Ciò alimenta il rischio che la situazione possa sfuggire di mano, al di là della volontà dei due governi. Forse questa è una tra le maggiori preoccupazioni del Direttore generale dell’IAEA, che sta facendo ogni sforzo per evitare il terzo disastro energetico di questa guerra.

 

La maggiore preoccupazione: l’apporto discontinuo di elettricità

Per quanto sembri paradossale, una centrale nucleare consuma grandi quantità di elettricità. Serve in particolare per il funzionamento dei sistemi di monitoraggio e sicurezza, a cominciare dagli impianti di raffreddamento. Le parti “calde” dell’impianto sono i reattori stessi e le barre di combustibile esausto, che continuano a produrre calore per anni e devono essere immerse in apposite piscine.

In condizioni ordinarie, una centrale nucleare può autoprodurre l’elettricità di cui ha bisogno, ma è essenziale (tanto più in teatro di guerra) che sia costantemente connessa a linee ad alta tensione esterne e abbia anche pronti – come soluzione di estrema emergenza – generatori diesel in grado di sopperire alla mancanza di elettricità.

In questi mesi, in diverse occasioni, non è stata garantita né la piena funzionalità delle quattro linee di connessione esterna di Zaporižžja, né quella dei generatori ausiliari. Da qui gli allarmi continui.

 

Lo stato attuale

Al momento la situazione è meno preoccupante rispetto all’inizio del conflitto. La produzione elettrica è ferma: i reattori sono in stato di “spegnimento freddo” (cold shutdown), nel quale le esigenze di raffreddamento sono molto ridotte.

È ancora possibile attentare militarmente alla sicurezza dell’impianto prendendo di mira i reattori (in robusti contenitori di cemento e acciaio) o le piscine di raffreddamento (prive di analoghe strutture protettive). Lo scenario del danno potrebbe essere rilevante a livello locale, ma non dovrebbe estendersi su scala internazionale come accaduto a Černobyl’.

 

Quali sono le prospettive future?

Nell’attuale situazione di stallo militare, nessuno dei contendenti ha in realtà interesse a danneggiare l’impianto: entrambi sanno che, alla fine del conflitto, sarà un’infrastruttura chiave per l’economia della regione.

La situazione potrebbe però cambiare se uno dei belligeranti vedesse avvicinarsi la sconfitta: la centrale di Zaporižžja può diventare un utile strumento per infliggere severi danni al nemico, in vari modi.

Comunque andrà a finire, questa vicenda ha qualcosa da insegnarci.

Il mondo reale – un luogo meno incantevole di quanto immaginato da certi tecnottimisti – ci sta mostrando che un impianto di questo tipo può trovarsi nel pieno di una contesa bellica nella quale, bene che vada, è utilizzabile come strumento di propaganda. Male che vada invece… beh… non vogliamo nemmeno pensarci.

Le centrali nucleari non potranno mai essere a prova di errore umano (Černobyl’), catastrofe naturale (Fukushima) o follia umana (rischio Zaporižžja). Di quanti altri test sperimentali abbiamo bisogno per capire che è una tecnologia intrinsecamente debole e del tutto inadatta alle imprevedibilità del mondo reale?

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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