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29 Lug 2019

Raffreddamento artificiale

Nicola Armaroli

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L’accordo firmato a Parigi nel 2015 da 195 nazioni per mantenere sotto i 2 °C l’aumento di temperatura globale è già un sogno: dovremmo diminuire da subito le emissioni di anidride carbonica (CO2) e non lo stiamo facendo.

L’accordo firmato a Parigi nel 2015 da 195 nazioni per mantenere sotto i 2 °C l’aumento di temperatura globale è già un sogno: dovremmo diminuire da subito le emissioni di anidride carbonica (CO2) e non lo stiamo facendo.

 

Senza piani concreti per eliminare la malattia, torna periodicamente alla ribalta l’ipotesi di mascherarne i sintomi: abbassare artificialmente la temperatura della Terra riducendo la quantità di radiazione solare che raggiunge il pianeta. L’idea è confortata da un “esperimento naturale”: l’eruzione del vulcano Pinatubo (Filippine) nel 1991. Il cataclisma immise in atmosfera circa 20 milioni di tonnellate di biossido di zolfo (SO2) che in gran parte si trasformarono in solfati, creando uno schermo di particelle sospese che riflessero nello spazio parte della radiazione solare. Per questo effetto, nel biennio successivo, la temperatura media globale si abbassò di circa 0,5°C. E non fu la prima volta: ciò che successe nel 1816, il famoso anno “senza estate”, fu in gran parte causato da tre grandi eruzioni avvenute nei mesi precedenti.

 

Oggi l’idea sarebbe quella di immettere intenzionalmente SO2 in atmosfera con aerei, palloni aerostatici o altri variegati accorgimenti. Se il piano vi suona degno di un B-Movie di fantascienza, pensate che c’è chi propone di stimolare la produzione di nubi artificiali sugli oceani o collocare un enorme schermo riflettente a 1,5 milioni di km dalla Terra. Esistono altre proposte di cosiddetta geoingegneria (termine improprio ma molto diffuso) che contemplano la manipolazione di altre porzioni della biosfera. Un classico è la fertilizzazione degli oceani con fosforo, azoto o ferro per favorire la crescita della vegetazione marina e, di conseguenza, un maggiore assorbimento di CO2 da parte degli oceani.

 

L’idea di fare esperimenti su scala planetaria per controbilanciare il più grande esperimento fuori controllo di tutti i tempi (l’immissione sconsiderata di CO2) porrebbe sfide tecniche colossali, che però impallidiscono di fronte alle questioni etiche, politiche ed economiche. Innanzitutto occorrerebbe protrarre il rilascio di SO2 in atmosfera per secoli, ma nessuno può garantire che l’umanità possa permettersi uno sforzo di questa durata. Se il lavoro fosse interrotto bruscamente, potrebbe verificarsi un aumento shock delle temperature, con conseguenze imprevedibili. E cosa accadrebbe se un raffreddamento naturale si sovrapponesse a quello artificiale, a seguito di un cataclisma vulcanico? Ma soprattutto: in un mondo fragile e globalizzato, chi governerebbe azioni che possono influenzare il clima e l’ambiente e, per questo motivo, possono essere potenzialmente utilizzate come armi? Dal 1977 esiste una convenzione internazionale sul divieto dell’uso di tecniche di modifica ambientale a fini militari e ostili (ENMOD). Ma sinora vi hanno aderito solo 76 Paesi.

 

Eppure le tecniche di geoingegneria, pur da ultima spiaggia, hanno un pregio innegabile: sono le uniche che potrebbero ridurre gli effetti del riscaldamento globale con effetto quasi immediato. Proprio per questo motivo tornano periodicamente alla ribalta e oggi sono guardate con interesse dai Paesi più poveri, cioè più vulnerabili al dramma del riscaldamento globale.

 

Mentre il clima muta sempre più velocemente e le scelte si fanno ogni giorno più complesse e urgenti, c’è chi si ostina a chiudere gli occhi davanti alla malattia. Un gruppo di “uomini di scienza” ha appena inviato al Parlamento italiano un documento nel quale si afferma che la mano dell’uomo nel riscaldamento globale è una “congettura”. In pratica, questi sono convinti che sia in corso un gigantesco complotto mondiale orchestrato da una banda di cialtroni che si spacciano per scienziati del clima.

 

Senza scomodare l’etica e la credibilità scientifica, c’è da chiedersi che fine abbia fatto il senso del ridicolo.

 

Credits immagine: foto di Ralf Vetterle da Pixabay

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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