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22 Mar 2019

Vincitori e vinti

Nicola Armaroli

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Dodici anni fa fui invitato a tenere una conferenza presso la Fondazione di una multinazionale del settore alimentare, in Piemonte. Una fantastica realtà produttiva dove gli stabilimenti erano integrati nel tessuto della città e ospitavano asili e impianti sportivi. Bellissimo l’auditorium per gli eventi culturali, una sorta di cuore dell’impianto industriale. La serata era aperta ai dipendenti e alla cittadinanza; in prima fila – quasi a dare il buon esempio – sedeva un membro di spicco della famiglia che ha fondato e controlla il colosso dolciario. Rimasi colpito che si fosse preso la briga di venire ad ascoltare due giovani ricercatori che parlavano di scienza ed energia.

Dodici anni fa fui invitato a tenere una conferenza presso la Fondazione di una multinazionale del settore alimentare, in Piemonte. Una fantastica realtà produttiva dove gli stabilimenti erano integrati nel tessuto della città e ospitavano asili e impianti sportivi. Bellissimo l’auditorium per gli eventi culturali, una sorta di cuore dell’impianto industriale. La serata era aperta ai dipendenti e alla cittadinanza; in prima fila – quasi a dare il buon esempio – sedeva un membro di spicco della famiglia che ha fondato e controlla il colosso dolciario. Rimasi colpito che si fosse preso la briga di venire ad ascoltare due giovani ricercatori che parlavano di scienza ed energia.

 

Quella lontana sera del 2007 in una fabbrica a misura di lavoratore mi è tornata in mente in questi giorni, leggendo le tendenze del settore industriale, e più in generale della società, negli ultimi 20 anni. Le condizioni di lavoro e il potere d’acquisto della classe media sono peggiorati ovunque nel mondo occidentale. Il caso più rappresentativo è quello degli Stati Uniti, dove il sogno americano è in gran parte svanito per lasciare posto a una società in cui le opportunità sono sempre più concentrate nelle mani di pochi. Tre persone (Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffett) possiedono una ricchezza pari al 50% della popolazione meno abbiente (oltre 100 milioni di persone). Gli Stati Uniti registrano l’aspettativa di vita più bassa tra i Paesi occidentali: 79,5 anni (per confronto, in Canada si raggiunge quota 82,6), nonostante una crescita vertiginosa della spesa sanitaria pro capite (+277% dal 1980, al netto dell’inflazione) nell’ambito di un sistema di welfare largamente privatizzato, che lascia i meno abbienti sempre più ai margini.

 

Anche su scala mondiale la situazione è sconfortante: il 50% più povero della popolazione raccoglie mediamente il 12% della crescita globale del reddito, mentre l’1% più ricco se ne aggiudica il 27%. Curiosamente, un trend analogo si osserva nei finanziamenti alla ricerca: si è affermato un meccanismo che premia gli scienziati già affermati e ben finanziati, spesso a scapito di idee innovative provenienti da gruppi meno in vista e consolidati.

 

Le cause di questa situazione sono ovviamente molteplici e complesse, ma tra esse spicca un progressivo indebolimento delle regole, nell’ambito di un’economia sempre più globalizzata e quindi, per definizione, meno governabile. Oggi molte aziende possono esercitare un forte potere di ricatto verso i lavoratori con la minaccia delle delocalizzazioni. D’altro canto, le legislazioni antitrust si sono indebolite e alcuni colossi privati hanno acquisito un potere smisurato, con un controllo globale in molti settori chiave dell’economia e della società, dalla finanza all’informazione. In parallelo, la politica è sempre più debole e incapace di dettare regole. Assistiamo persino al paradosso di un numero crescente di miliardari che assumono la guida delle nazioni, riscuotendo vasto consenso tra gli strati più poveri della società in un cortocircuito che lascia senza parole.

 

Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Ricordo l’entusiasmo e l’emozione di quei mesi, quando caddero uno a uno regimi dispotici, corrotti e sanguinari, nati per affrancare i lavoratori e rivelatisi nient’altro che incubi. Il sistema economico liberale risultò trionfatore assoluto e unica ricetta per garantire pari opportunità e benessere ai lavoratori, sulla base delle capacità e dell’impegno individuale.

 

Forse non è rimasto molto tempo per provare a correggere la rotta e dimostrare che fu vera gloria, ma non sono ottimista. Temo che, fra qualche decennio, gli storici scriveranno di una grande vittoria che si trasformò in un’occasione perduta.

Nicola Armaroli
Nicola Armaroli
Nicola Armaroli, direttore di Sapere dal 2014, è dirigente di ricerca del CNR e membro della Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei 40). Lavora nel campo della conversione dell’energia solare e dei materiali luminescenti e studia i sistemi energetici nello loro complessità. Ha pubblicato oltre 250 lavori scientifici, 11 libri e decine di contributi su libri e riviste. Ha tenuto conferenze in università, centri di ricerca e congressi in tutto il mondo ed è consulente di varie agenzie e società internazionali, pubbliche e private, nel campo dell’energia e delle risorse. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro Enzo Tiezzi della Società Chimica Italiana e il Premio per la Chimica Ravani-Pellati della Accademia delle Scienze di Torino. È un protagonista del dibattito scientifico sulla transizione energetica su tutti i mezzi di comunicazione (v. qui).
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