Non si può non iniziare una riflessione senza ricordare i 150 medici morti durante la pandemia da SARS-CoV-2, che la Federazione del nostro ordine, sul suo sito, ricorda con tutti i nomi e cognomi, per evitare che siano solo anonimi decimali di un numero così clamoroso.
Molti sono morti cercando di onorare la loro professione che, mai come in questa situazione, ci ha ricordato perché il mestiere del medico sia davvero una missione.
Sono morti perché hanno cercato di aiutare i malati, spesso senza presidi adeguati, in particolare all’inizio della pandemia, perché sono andati a casa dei loro pazienti o hanno lavorato in ospedali e terapie intensive letteralmente presi d’assalto e iperaffollate.
Non dovevano morire così.
Ma, soprattutto, la risposta delle istituzioni non doveva essere quella di cancellare, come in molte regioni ahimè è stato fatto, la possibilità di continuare a presidiare il territorio e i malati, facendo venir meno il ruolo fondamentale del medico che valuta, cura e previene, decidendo come e dove il “suo” paziente debba essere curato.
Di fronte al pericolo di infettarsi e così contribuire alla diffusione della patologia, piuttosto che fornire immediatamente i presidi necessari (che andavano rapidissimamente assicurati a medici, infermieri e personale sanitario), si è preferito trasferire il rapporto con il singolo paziente dal proprio medico a centri di riferimento, dipartimenti di prevenzione o neo costituite task force, che dovevano, invece, occuparsi di altro, non già della valutazione e cura di uno sconosciuto paziente.
Non solo, l’emergenza ha anche determinato l’impossibilità a eseguire diagnosi della malattia da Covid-19 in tantissimi casi, perché le richieste, non selezionate dai medici, messi in quarantena, si sono moltiplicate superando la capacità di effettuare i tamponi, per cui è successo, non infrequentemente, che le situazioni di malattia precipitassero, con esiti disastrosi.
Mi guardo bene dal voler condannare alcuno. È stata un’emergenza assolutamente drammatica.
Ma il medico ha lasciato il posto allo specialista. Fondamentale per certi aspetti, non per tutti.
Ora, possiamo e dobbiamo intervenire facendo tesoro delle cose fatte.
Personalmente, spero che si restituisca centralità alla medicina del territorio, che la lezione della pandemia serva a ripensare all’importanza, e alla conseguente tutela e valorizzazione, del medico e del pediatra del nostro meraviglioso SSN, quali interpreti fondamentali di una medicina che non può prescindere dalla conoscenza del paziente e dal contatto “fisico” che non potranno mai, dico mai, essere sostituiti da qualunque tecnologia.
I big data servono moltissimo (sono fondamentali per consentire di studiare i dati della pandemia), ma decidere se quel soggetto è malato e di quale patologia, se debba essere sottoposto a un trattamento, quale, come e dove, è una decisione che, con tutti i limiti della possibile fallacia dell’individuo, è scelta del medico che conosce e valuta le realtà di vita.
Oggi, in quella che speriamo sia la fase 2, preludio al ritorno alla normalità quanto prima possibile, è fondamentale contribuire a vincere la guerra contro il virus. Verrà il vaccino, ricordando a chi aveva dimenticato la sua straordinaria solidaristica efficacia, perché chi lo fa protegge anche chi si sottrae; dovremo usare precauzioni, perché c’è il rischio dei portatori asintomatici, ma, soprattutto, ricordiamoci che abbiamo a che fare con una malattia.
Una malattia che, prima di essere dati e numeri, deve essere valutata nel suo effetto nel paziente.
È il medico che deve decidere il suo impatto di salute nel singolo e come e dove curarla. A casa, dove l’effetto degli affetti è fondamentale, in ospedale, perché si possono effettuare terapie e cure particolari, nei reparti di terapia intensiva quando ci vuole il massimo sforzo.
Basta che funzioni, citando Woody Allen.
E funziona se i medici lavorano e sono protetti, se gli ospedali sono efficienti, per personale, strutture e attrezzature, se i posti di terapia intensiva sono sufficienti.
E funziona se la politica sa essere lungimirante e capace di ascoltare i medici. Se i medici non perseguono interessi personali e contribuiscono a far funzionare il nostro sistema sanitario nazionale con l’UNICO obiettivo della salute del singolo e della società tutta.
La pandemia, ce lo chiedono i colleghi morti per salvare i malati, richiede a tutti uno sforzo palingenetico.