L’influenza non è una malattia innocua. Non lo è per la popolazione in generale e non lo è per i bambini e, analogamente alle malattie esantematiche dell’infanzia, bisogna definitivamente sfatare il mito che “tanto l’abbiamo presa tutti e siamo qui a raccontarlo”. Di influenza, come di altre malattie “prevenibili”, un esempio per tutte il morbillo, si può morire o si possono subire conseguenze gravissime a lungo termine.
L’influenza non è una malattia innocua. Non lo è per la popolazione in generale e non lo è per i bambini e, analogamente alle malattie esantematiche dell’infanzia, bisogna definitivamente sfatare il mito che “tanto l’abbiamo presa tutti e siamo qui a raccontarlo”. Di influenza, come di altre malattie “prevenibili”, un esempio per tutte il morbillo, si può morire o si possono subire conseguenze gravissime a lungo termine.
Il tema della prevenibilità è il tema delle vaccinazioni che, grazie alla irragionevole campagna degli anti e no-vax, purtroppo non contrastata adeguatamente fino agli ultimi anni, ha fatto dimenticare il potentissimo valore dei vaccini nel ridurre le enormi problematiche, non solo sanitarie, che le malattie “prevenibili” determinano.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha valutato che, ogni anno, in occasione delle epidemie di influenza, vi siano 3-5 milioni di casi gravi e 250-500.000 morti.
L’influenza provoca, ogni anno, nella popolazione in generale, oltre i decessi, una enorme serie di problemi, che vanno dalla perdita di giornate di lavoro, alle necessità di ospedalizzazioni, anche nelle terapie intensive, a costi economici estremamente significativi.
In Italia, secondo dati del 2011, il costo complessivo delle 9 stagioni influenzali dal 1999 al 2008 è stato stimato in circa 15 miliardi di euro, con una media stagionale di oltre 1,3 miliardi, determinati da spese ospedaliere, farmaci, peraltro non sempre appropriati, accessi al pronto soccorso, visite mediche.
Complessivamente, sia gli outcomes clinici peggiori che i costi più elevati, sono appannaggio di sottogruppi di popolazione a maggior rischio, quali donne in gravidanza, anziani, soggetti con patologie croniche o immunodepressi e bambini.
I bambini non solo rappresentano la classe di età con i maggiori tassi di incidenza durante ogni stagione influenzale, ma rappresentano una considerevole e fondamentale fonte di contagio per chi entra in contatto con loro, in particolare, madri potenzialmente gravide, parenti con altre patologie croniche, nonni e anziani, anche perché il periodo di contagiosità dei bambini è più lungo dei classici 3-7 giorni degli adulti.
In età pediatrica, i dati epidemiologici del Center for Disease Control and Prevention, hanno registrato, durante la stagione 2017-2018, 48.000 ospedalizzazioni con 600 morti, oltre che una significativa incidenza di complicanze quali encefalite, encefalopatia, con il rischio di danni neurologici permanenti, e polmonite, più frequente nei bambini di età inferiore ai due anni, che, in presenza di coinfezione batterica, come da Staphylococcus aureus o Streptococcus pneumoniae, ha un decorso clinico più grave.
La terapia è sostanzialmente sintomatica, con farmaci antipiretici, sebbene siano disponibili anche terapie antivirali, quali gli inibitori delle neuraminidasi (Oseltamivir, Zanamivir) o il più recente Balaxavir-Marboxil, non ancora in commercio in Italia, ma il loro utilizzo, efficace se il trattamento si inizia entro le prime 48 ore dall’inizio dei sintomi, peraltro anche gravato dal rischio di comparsa di resistenze antivirali, si riserva alle forme gravi, che richiedono il ricovero in ospedale, o ai pazienti con elevato rischio di complicanze influenzali, per età o per condizioni mediche associate.
La vaccinazione anti-influenzale rappresenta, quindi, allo stato attuale, il principale mezzo in grado di ridurre i gravi effetti delle epidemie influenzali.
Sempre secondo le stime del CDC di Atlanta, negli Stati Uniti, la vaccinazione anti-influenzale è stata in grado di prevenire più di cinque milioni di casi nella stagione 2016-2017, ha inoltre ridotto di 2,6 milioni le visite mediche per influenza, ha evitato 85.000 ospedalizzazioni, riducendo anche gli accessi in terapia intensiva di circa il 74% nel periodo 2010-2012. In particolare, in età pediatrica, la vaccinazione anti-influenzale ha ridotto, negli Stati Uniti, del 51% il rischio di morte in bambini con sottostanti condizioni patologiche e di circa il 65% in bambini sani.
L’efficacia in termini di salute della vaccinazione antiinfluenzale è ulteriormente rafforzato dalla considerazione che questa è in grado di ridurre l’incidenza di infezione e di morte anche negli adulti, sicché non solo protegge il singolo dalla malattia e dalle sue complicanze, ma contribuisce a ridurre la sua diffusione nella popolazione in generale, con particolare importanza, per i soggetti a rischio come gli anziani o le gestanti. Proprio nelle gestanti, la vaccinazione va fortemente raccomandata, preferibilmente a partire dal secondo trimestre, così da proteggerle dal rischio di complicanze, determinato dal loro stato di immunodeficienza gravidanza-indotta. Inoltre, la vaccinazione della gestante protegge anche il neonato, attraverso il passaggio di anticorpi protettivi, come dimostrato da studi recenti che hanno evidenziato una riduzione, durante i primi sei mesi di vita del bambino, del 70% dell’incidenza di influenza e dell’81% della necessità di ospedalizzazione.
L’attuale raccomandazione della vaccinazione antinfluenzale in tutti i bambini di età superiore ai sei mesi, all’inizio della stagione epidemica, con uno o due dosi a seconda della avvenuta o meno esecuzione della vaccinazione l’anno precedente, supera le precedenti indicazioni che la limitavano ai bambini a rischio, e deve rappresentare un obiettivo di salute che i pediatri tutti devono perseguire, investendo tempo anche nella comunicazione con le famiglie, spiegando l’importanza, non solo individuale, ma anche sociale, di ridurre la diffusione dell’influenza.
