Riconoscere il viso di una persona conosciuta, anche se visto rapidamente o di profilo, o in mezzo ad una folla, ci sembra una cosa naturale. Eppure solo recentemente ci siamo avvicinati alla comprensione di come il cervello dei primati riesca a decodificare con tanta precisione un sistema complesso quale un volto. A riuscirci sono stati dei ricercatori della Caltech, in California, guidati da Doris Tsao; i loro risultati sono stati pubblicati questo mese sulla rivista Cell.
Riconoscere il viso di una persona conosciuta, anche se visto rapidamente o di profilo, o in mezzo ad una folla, ci sembra una cosa naturale. Eppure solo recentemente ci siamo avvicinati alla comprensione di come il cervello dei primati riesca a decodificare con tanta precisione un sistema complesso quale un volto. A riuscirci sono stati dei ricercatori della Caltech, in California, guidati da Doris Tsao; i loro risultati sono stati pubblicati questo mese sulla rivista Cell.
50 dimensioni (e 200 neuroni) per codificare un volto
Il codice, una volta compreso, è più semplice del previsto, dicono i ricercatori. Il punto di partenza, fornito da uno studio precedente, era stato identificare le zone del cervello che vengono stimolate in risposta alla visione di un volto. Queste contengono un numero non enorme di neuroni (circa 200), tale da rendere poco realistica l’ipotesi accreditata fino a poco tempo fa del “grandmother neuron”: l’ipotesi in altre parole che ogni singolo neurone riconoscesse un particolare viso, e rispondesse poi in maniera proporzionale a quanto un nuovo viso gli somigliasse.
Gli scienziati della Caltech hanno preso 200 volti da un database pubblico ed hanno generato un sistema di 50 variabili spaziali che fossero in grado di descrivere il range di variabilità. Le variabili erano in parte correlate a caratteristiche della fisionomia, quali la distanza tra gli occhi o la larghezza del viso, in parte a caratteristiche non dipendenti dalle forme, come per esempio il colore della pelle o degli occhi. Hanno poi generato immagini di 2000 diversi volti e le hanno sottoposte a dei macachi, registrando l’attività dei 200 singoli neuroni. Sorprendentemente hanno rilevato che ciascun neurone risponde in proporzione alla proiezione del volto su un singolo asse dello spazio multidimensionale generato. Una volta compreso quale asse corrispondesse a quali neuroni, hanno generato un algoritmo in grado di decodificare la risposta ad un nuovo volto. In altre parole, dalla sola risposta neuronale registrata sono riusciti a ricostruire in maniera fedele il volto che il macaco aveva visto. Inoltre hanno potuto generare volti apparentemente molto diversi che stimolavano risposte identiche di specifici neuroni.
Non solo volti
Questi incredibili passi avanti potranno essere sfruttati nel campo delle intelligenze artificiali. E, così come si è compreso come decodificare un volto e riconoscerlo, si potrà partire da qui per studiare e comprendere come il nostro cervello riesca a identificare oggetti complessi. L’algoritmo sviluppato fa anche immaginare un mondo in cui le scienze forensi si possano basare sull’attività neuronale per associare “visi” ai racconti di testimoni. Oggi il cervello ha qualche segreto in meno per noi e ci insegna una volta di più che per comprendere la complessità può servire la semplicità.
