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08 Apr 2019

Astronauti, herpes e microgravità – risultati da prendere con cautela

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Un recente articolo sulla rivista Frontiers in microbiology riporta un interessante dato: in condizioni di microgravità alcuni virus si riattiverebbero nel corpo degli astronauti. Si tratta in particolar modo di membri della famiglia degli Herpes virus, fra cui il Citomegalovirus, il virus Varicella-Zoster, l’Herpes simplex I e il virus di Epstein-Barr.

Un recente articolo sulla rivista Frontiers in microbiology riporta un interessante dato: in condizioni di microgravità alcuni virus si riattiverebbero nel corpo degli astronauti. Si tratta in particolar modo di membri della famiglia degli Herpes virus, fra cui il Citomegalovirus, il virus Varicella-Zoster, l’Herpes simplex I e il virus di Epstein-Barr.

 

La presenza del genoma virale di questi virus nel corpo umano è molto comune. Questi virus infatti integrano il loro genoma nelle nostre cellule che qui resta, anche dopo la malattia, in stato di quiescenza. La presenza del DNA virale è infatti normalmente innocua, ma condizioni di immunosoppressione possono stimolarne la riattivazione dell’attività replicativa. Questo sembra essere il caso degli astronauti. Per giustificare la riattivazione dell’attività virale, viene chiamato in causa lo stress legato all’essere in un ambiente a microgravità e il trovarsi sottoposti a ritmi di lavoro non certo rilassanti, esposti a deprivazione di sonno, fatica e stress psicologici.

 

Oltre a possibili riattivazioni della patologia legata all’infezione di questi virus, la presenza di una potenziale riattivazione dell’attività replicativa virale suggerisce che gli astronauti debbano prestare molta attenzione alle persone immunosoppresse con cui eventualmente dovessero entrare in contatto una volta rientrati sulla Terra. I virus della famiglia Herpes, infatti, possono essere molto pericolosi per questi soggetti.

 

La ricerca sembra quindi importante e interessante. Bisogna però osservare che l’articolo soffre di alcune limitazioni metodologiche e di analisi, che invitano alla prudenza nella sua valutazione. Per validare il potenziale stato di immunosoppressione degli astronauti infatti, è stata misurata l’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, la sua attivazione porta alla secrezione dell’ormone dello stress cortisolo. Il cortisolo mobilita le risorse energetiche del corpo e viene secreto quando chiediamo all’organismo una performance elevata; non è quindi una sorpresa che questo sia più elevato negli astronauti. Il cortisolo però può avere anche effetti immunosoppressivi, specialmente quando è prodotto in alte dosi e per periodi prolungati. La quantità misurata nell’articolo appare oggetto di un’ampia variabilità, e attribuire al cortisolo un ruolo causale dell’immunosoppressione potrebbe essere un po’ azzardato. Anche i valori che vengono riportati per valutare la riattivazione virale sembrano non essere presentati nel migliore dei modi.

 

Le informazioni riportate dall’articolo possono quindi essere utili, ma devono essere giudicate con le dovute cautele, rimandando possibilmente a studi futuri più accurati una valutazione più concreta della tematica.

 

Credits immagine di copertina: foto di geralt da Pixabay

Matteo Cerri
Matteo Cerri
Medico chirurgo, dottore di ricerca in Neurofisiologia, Ricercatore in Fisiologia presso il Dipartimento di Scienza Biomediche e Neuromotorie dell'Università di Bologna. È un membro del gruppo di ricerca Hibernation dell'Agenzia Spaziale Europea, associato all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e membro del direttivo nazionale della Società Italiana di Neuroetica. È autore di "A mente fredda", pubblicato per Zanichelli e del podcast "Elevatore di Pensiero".
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