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27 Set 2019

Car pooling farmacologico? Le nanomacchine e le loro applicazioni

Chiara Tremaroli

Chiara Tremaroli
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Le macchine molecolari, o nanomacchine, sono microscopiche strutture grandi circa un miliardesimo di metro. Proprio come dei congegni meccanici in miniatura, possono cambiare forma, ruotare, piegarsi o avanzare nello spazio. I movimenti sono innescati da precisi stimoli, chimici o luminosi, che li rendono facilmente controllabili.

Le macchine molecolari, o nanomacchine, sono microscopiche strutture grandi circa un miliardesimo di metro. Proprio come dei congegni meccanici in miniatura, possono cambiare forma, ruotare, piegarsi o avanzare nello spazio. I movimenti sono innescati da precisi stimoli, chimici o luminosi, che li rendono facilmente controllabili.

 

Queste molecole rappresentano una nuova e accattivante frontiera nel mondo della ricerca: sono infatti strutture di transizione tra chimica e ingegneria e, come tali, possono essere usate in entrambi i settori.
Sul versante elettronico, saranno presto fondamentali per la miniaturizzazione dei componenti dei computer: questa procedura serve per aumentare la quantità di informazioni immagazzinabili in un chip, consentendo di realizzare dispositivi sempre più sofisticati.
In ambito clinico, invece, le macchine molecolari sono oggetto di studio per lo sviluppo di numerosi farmaci e terapie.

 

Le nanomacchine sono molecole dalle eccezionali proprietà biologiche: molto abbondanti in natura, solo nel corpo umano ne sono stati osservati oltre diecimila tipi diversi, addetti a varie funzioni. Un esempio importante è quello della ATPasi, una macromolecola che produce energia per la cellula ruotando su se stessa. Altri complessi molecolari guidano, invece, la formazione di nuovo DNA, la costruzione delle proteine, il passaggio di sostanze dentro e fuori la cellula, e in generale garantiscono la sopravvivenza di tutti i viventi.
Tuttavia, sebbene siano così comuni, queste strutture sono estremamente complesse, e per questo molto difficili da riprodurre artificialmente.

 

I principali esperti mondiali in materia, nonché gli inventori delle nanomacchine artificiali, sono Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa.
I tre ricercatori, per aver studiato e sintetizzato le primissime macchine molecolari, sono stati insigniti nel 2016 del premio Nobel per la Chimica.
Sauvage, in particolare, creò la prima struttura nel 1983, che prese il nome di “catenano”. Proprio come una catena, un catenano è formato da due anelli molecolari legati insieme, in modo da poter ruotare l’uno dentro l’altro.
La legatura è svolta tramite un procedimento proprio della chimica organica, chiudendo a cerchio delle molecole con l’aggiunta di opportuni reagenti. In pratica, si tratta di addizionare vari composti in un contenitore di vetro, detto “pallone” e, nelle le giuste condizioni, la molecola desiderata si forma spontaneamente nella miscela.
La sintesi di una struttura semplice come una catena ha aperto la strada alla creazione di molecole più complesse, con innumerevoli forme e funzioni possibili.

 

Oggi, in ambito biologico, le macchine molecolari sono studiate principalmente come trasportatori di farmaci.
Usate nella terapia contro il cancro, offrono risultati molto promettenti: un grande problema dei chemioterapici è rappresentato dalla loro scarsa specificità, questi infatti non riconoscono bene le cellule tumorali e tendono a danneggiare anche quelle sane.
Legando il farmaco a una macchina molecolare, in genere un anticorpo prodotto con tecniche di ingegneria genetica, si crea invece una struttura estremamente precisa: l’anticorpo trasporta il farmaco fino alla cellula bersaglio e poi lo rilascia in loco, limitando i danni nel resto del corpo.

 

Un altro esempio applicativo è quello diagnostico. Nel 2017, i ricercatori dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) e dell’Università di Padova hanno messo a punto nanoparticelle d’oro rivestite da molecole organiche: attualmente in fase di ottimizzazione, possono riconoscere e legare molecole specifiche presenti in una soluzione acquosa.
In futuro queste nanoparticelle potrebbero essere impiegate nelle analisi del sangue, per rivelare la presenza di tumori, droghe o tossine

 

Immagine di copertina: nanoparticella d’oro funzionalizzata. Credits: Riccardi, Gabrielli, Xiaohuan, Biasi, Rastrelli, Mancin, De Vivo. (2017). Nanoparticle-Based Receptors Mimic Protein-Ligand Recognition. Chem. 3. 92-109. 10.1016/j.chempr.2017.05.016. (CC BY-NC-ND 4.0)

Chiara Tremaroli
Chiara Tremaroli
Laureata in biologia molecolare e applicata presso l'Università Politecnica delle Marche. Giornalista pubblicista, ha pubblicato articoli scientifici e culturali per il giornale online RivieraOggi. È stata finalista nazionale del concorso internazionale FameLab, dedicato alla comunicazione scientifica.
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