Quella di domenica 27 dicembre è stata, per l’Italia, una memorabile giornata, che è stata già consegnata alla storia! Infatti, nell’incredibile lasso di tempo di soli 12 mesi dall’identificazione e dal sequenziamento genetico di SARS-CoV-2, il betacoronavirus responsabile della malattia Covid-19 e della drammatica pandemia – che ha fatto sinora registrare ben oltre 100 milioni di casi su scala planetaria, 2 300 000 circa dei quali a esito fatale – sono state somministrate al personale medico e infermieristico operante all’interno di varie strutture sanitarie del nostro Paese le prime dosi del vaccino prodotto congiuntamente dalla Pfizer e dalla BioNTech e basato sull’innovativa tecnologia dell’RNA messaggero.
La grande sfida della vaccinazione
Premesso che altri vaccini basati sulla medesima (vedi quello messo a punto da Moderna) o su altre tecnologie (vedi quello prodotto da Oxford-AstraZeneca) hanno da poco ricevuto o stanno per ottenere le relative approvazioni da parte delle Autorità e/o Agenzie preposte a livello statunitense (FDA), europeo (EMA) e italiano (AIFA), la grande sfida che ora ci attende è quella di vaccinare buona parte della popolazione italiana, così come di quella europea e mondiale, al precipuo fine di poter conseguire – auspicabilmente entro la fine del 2021 – la cosiddetta immunità di gregge, fattispecie quest’ultima che trova il suo indispensabile prerequisito nel fatto che almeno il 70% della popolazione venga sottoposto alla vaccinazione anti Covid-19.
Le varianti del virus: quanto sono pericolose?
A tal proposito, si è fatto e si sta tuttora facendo un gran parlare delle varianti (variants of concern, VOC) di SARS-CoV-2 recentemente identificate nel Regno Unito, in Sudafrica e in Brasile – l’ultima delle quali, quella più allarmante, segnalata anche in Italia – varianti che hanno fatto seguito a quella che si è “selezionata”, per così dire, fra i visoni allevati nei Paesi Bassi e in Danimarca e che da questi ultimi si è quindi trasferita all’uomo. Per quanto questi fenomeni vadano monitorati con la massima cura e attenzione e per quanto dagli stessi possano scaturire fondati motivi di preoccupazione, non andrebbe tuttavia dimenticato che anche i coronavirus, al pari di tutti gli altri virus a RNA (quali più, quali meno), sono costantemente soggetti nel tempo a mutazioni dei rispettivi genomi.
Queste ultime, ove di grado contenuto, non dovrebbero costituire “in linea di principio” elementi di allerta, ivi compresa la possibilità che i ceppi virali mutati non vengano adeguatamente riconosciuti dalla risposta immunitaria elaborata dall’ospite nei confronti dei vaccini (oppure a seguito di una pregressa infezione da SARS-CoV-2).
I vaccini ci proteggeranno dalle varianti?
Nel caso delle succitate varianti, così come di altre identificate in Italia, in Europa e nel mondo, la percentuale di mutazioni presenti a livello della proteina S (Spike protein) – grazie alla quale il virus è in grado di entrare nelle nostre cellule – non giustificherebbe al momento, infatti, elementi di preoccupazione sufficienti a ritenere che questi ceppi virali mutati possano “eludere” in larga misura l’immunità conferita dai vaccini nei confronti della proteina S “in toto”.
Farebbe eccezione la cosiddetta “variante brasiliana” di SARS-CoV-2, che albergherebbe al proprio interno una serie di mutazioni, nonché di delezioni e inserzioni genetiche (fra le quali la mutazione nota con la sigla E484K, condivisa anche dalla variante “sudafricana” e appena segnalata anche in quella “inglese”), rispetto alle quali l’immunità conferita dai vaccini attualmente disponibili potrebbe risultare non del tutto protettiva.
Ciò nonostante, andrebbe rimarcato con particolare enfasi il fatto che, per qualsivoglia virus possibile e immaginabile, avere di fronte a sé una “platea” di quasi 8 miliardi di esseri umani da infettare, equivale a dire che quel virus ha fatto bingo!
Stiamo infatti parlando di una foltissima categoria di agenti biologici, i virus appunto, che per riprodursi hanno bisogno di una cellula-ospite al cui interno devono necessariamente penetrare. Ecco perché i virus sono, senza eccezione alcuna, “parassiti endocellulari obbligati”.
Altre vaccinazioni necessarie: influenza e morbillo
Nelle scorse settimane è stata giustamente sottolineata, a più riprese, anche l’utilità della vaccinazione anti-influenzale “di massa”, al precipuo fine di rendere più agevole la diagnosi della Covid-19, viste e considerate le strette analogie clinico-sintomatologiche che la “classica influenza stagionale” presenta rispetto alle forme “paucisintomatiche” di Covid-19 (di gran lunga più frequenti, unitamente alle forme asintomatiche, rispetto a quelle gravi nella popolazione generale), oltre che allo scopo di evitare la comparsa di quadri clinico-patologici associati d’influenza e di Covid-19.
Assai meno si è parlato, di contro, dei grandi benefici conferiti dalla vaccinazione di massa nei confronti del morbillo, una malattia che causa tuttora, su scala globale, non meno di 100 000 decessi su base annua e il cui agente causale è un virus a RNA (un morbillivirus) in grado di trasmettersi da uomo a uomo con una facilità sorprendente e ben superiore rispetto a quella propria di SARS-CoV-2 e che, in quanto tale, ha pochissimi “rivali” fra i virus a tutt’oggi conosciuti.
Cos’è l’amnesia immunitaria causata dal morbillo
A tal proposito, il Dr Mina e altri studiosi* poco più di un anno fa hanno descritto, sulle pagine della prestigiosa rivista Science, il meccanismo patogenetico attraverso il quale il virus del morbillo sarebbe capace di indurre una singolare condizione di “amnesia immunitaria” nei pazienti infetti (così come nel macaco, il modello sperimentale d’infezione utilizzato dai medesimi ricercatori).
Ciò equivale a dire che il sistema immunitario di un individuo che dovesse sviluppare il morbillo “si dimenticherà”, per così dire, di tutti gli agenti biologici, virali e non, che quello stesso soggetto dovesse avere “incontrato” in precedenza a seguito di un’infezione naturale, così come pure a seguito di una vaccinazione.
Ciò premesso, proviamo a immaginare, per un solo istante, quale catastrofe potrebbe avere origine dal “ritorno” del morbillo in un contesto d’immunità di gregge già acquisita dalla popolazione generale – a seguito d’infezione naturale e/o per via vaccinale, auspicabilmente entro la fine del 2021 – nei confronti della Covid-19, ragion per cui mai e poi mai dismettere, senza la benché minima esitazione, le campagne di vaccinazione di massa nei confronti del virus del morbillo!
Per maggiori informazioni, visitare il portale ufficiale del Ministero della Salute.
* https://bit.ly/3jonyNu