Clostridium difficile rappresenta uno dei più importanti agenti di diarrea associata all’abuso di antibiotici in ambiente ospedaliero. La patologia da esso provocata è strettamente correlata all’alterazione del microbiota intestinale, che ancora una volta dimostra la sua importanza nel mantenimento dello stato di salute dell’uomo.
Clostridium difficile rappresenta uno dei più importanti agenti di diarrea associata all’abuso di antibiotici in ambiente ospedaliero. La patologia da esso provocata è strettamente correlata all’alterazione del microbiota intestinale, che ancora una volta dimostra la sua importanza nel mantenimento dello stato di salute dell’uomo. C. difficile è un bacillo gram-positivo, anaerobio (cresce cioè in assenza di ossigeno) e produttore di spore, strutture di resistenza in situazioni ambientali sfavorevoli. Fa parte del microbiota intestinale e si trasmette per via oro-fecale.
La resistenza agli antibiotici
In seguito a prolungate terapie antibiotiche, il microrganismo può sviluppare resistenza ad alcuni antibiotici e proliferare. Soltanto i ceppi produttori di tossine sono patogeni e possono provocare diversi disturbi, dalla semplice diarrea alla più grave colite pseudomembranosa, dove le tossine danneggiano le cellule dell’epitelio intestinale provocando necrosi e formazione di pseudomembrane. In alcuni casi quest’ultima può evolvere verso una forma fulminante, che può avere esito mortale.
L’infezione viene trattata con farmaci ai quali il microrganismo si è dimostrato fino a oggi sensibile, tuttavia presenta un’alta percentuale di recidive.
Quali terapie?
L’uso prolungato di antibiotici genera una modificazione della flora intestinale normale tale da favorire la colonizzazione da parte del germe, con tutto il quadro che ne consegue. Per questo motivo, le nuove strategie terapeutiche sono orientate non solo all’utilizzo di farmaci alternativi, ma anche allo sviluppo di tecniche di ripristino della flora microbica alterata. L’utilizzo di probiotici è in discussione, poiché non ci sono ancora sufficienti evidenze riguardo la loro efficacia. Il trapianto di microbiota fecale da un donatore sano, invece, risulta efficace e risolutivo nell’80-90 per cento dei casi. La tecnica, non ancora standardizzata, prevede la purificazione in laboratorio delle feci del donatore (prive di eventuali agenti infettivi) e poi l’introduzione del preparato nell’intestino del ricevente attraverso un sondino naso-gastrico. Mancano ancora molti dati per capire se la tecnica sia effettivamente priva di rischi sul ricevente. Tuttavia, l’efficacia di tale trattamento è promettente.
