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11 Mag 2021

I numeri della pandemia di Covid-19: alcune considerazioni e previsioni

Giovanni Di Guardo

Giovanni Di Guardo
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Stando ai numeri ufficiali della pandemia da SARS-CoV-2, il beta-coronavirus responsabile della malattia Covid-19, i casi d’infezione a livello globale sarebbero ormai prossimi ai 160 milioni, con oltre 3.300.000 decessi da/per/con Covid-19, 120.000 e più dei quali in Italia, ove i casi d’infezione da SARS-CoV-2 ammonterebbero complessivamente a oltre 4 milioni.

 

I dati mostrano un’inversione di tendenza?

Sempre in ossequio alle cifre ufficiali riguardanti il nostro Paese, l’ormai (tristemente) famoso indice Rt – che serve a misurare la capacità di trasmissione/diffusione del virus nell’ambito della popolazione umana – sarebbe in progressiva discesa da diverse settimane a questa parte, analogamente alla percentuale dei ricoveri ospedalieri per Covid-19, con particolare riferimento a quelli relativi alle unità di terapia intensiva.
Coi dati sopra riportati, all’apparenza incoraggianti, non sembra fare esattamente il paio, purtroppo, il numero dei decessi da/per/con Covid-19, che continua a permanere “inspiegabilmente” troppo elevato, nonostante le 6 settimane già trascorse da quando il trend dei contagi ha iniziato a invertire la rotta.
Se è vero (come è vero), infatti, che il numero delle morti da/per/con Covid-19 è l’ultimo indice/parametro destinato a subire una flessione, rappresentando al contempo l’indicatore più veritiero nel contesto della “narrazione epidemiologica” della drammatica pandemia (visto e considerato che i decessi si constatano e si contano in maniera oggettiva), penso che avremmo dovuto assistere, da 2-3 settimane almeno, anche a un contestuale calo – ben più marcato di quello apparentemente osservato – dei decessi da/per/con Covid-19.
A tal proposito, mentre abbiamo imparato nostro malgrado che il prezzo più alto in termini di perdita di vite umane viene pagato dai pazienti geriatrici – ultra-ottantenni in primis, ma anche ultra-settantenni – con particolare riferimento a quelli già gravati da una serie di comorbidità (affezioni cardio-circolatorie, diabete mellito, ecc.), una possibile chiave esplicativa potrebbe risiedere nella campagna di vaccinazione di massa anti-Covid-19, che nelle varie Regioni italiane ha interessato gli ultra-ottantenni e, soprattutto, gli ultra-settantenni in maniera difforme e tutt’altro che capillare, rendendoli maggiormente vulnerabili nei confronti dell’azione lesiva esplicata dal virus.

 

Tamponi e contact tracing: cosa (non) sta funzionando?

Vi sarebbe tuttavia, a mio avviso, un altro elemento degno della massima considerazione, vale a dire la largamente inadeguata se non pressoché completa assenza, nel nostro Paese, del cosiddetto “contact tracing”, cioè di quella fondamentale attività di sorveglianza attiva, basata a sua volta sull’effettuazione di tamponi rino-faringei o salivari “mirati” (da sottoporre ai rituali test antigenici e/o biomolecolari, questi ultimi da preferirsi decisamente rispetto ai primi) e finalizzata a monitorare l’eventuale acquisizione dell’infezione virale da parte di tutte quelle persone (10 in media) venute a contatto con un individuo SARS-CoV-2-infetto.
Per quanto ci si fosse già provato a suo tempo attraverso l’app “Immuni”* – rivelatasi poi un colossale “flop” – andrebbe parimenti sottolineato che al ritmo di 20-30 mila casi d’infezione al giorno, come accadeva fino a una decina di giorni fa in Italia, qualsivoglia sistema di contact tracing (ammesso e non concesso che sia stato adeguatamente concepito e sviluppato) verrebbe quantomeno messo a dura prova, nella migliore delle ipotesi. Immaginiamo cosa possa succedere (o, per meglio dire, cosa possa esser successo) in un Paese come il nostro, che di un capillare quanto rodato sistema di contact tracing appare ben lungi dall’essersi dotato!

 

Quello che i numeri non dicono

La logica conseguenza di tutto ciò è che i numeri dei contagi non ci hanno raccontato e non ci raccontano tuttora, con ogni probabilità, la vera portata dell’infezione da SARS-CoV-2 in Italia (e, senza dubbio, anche in molti altri Paesi, sia europei che extra-europei, vedi Brasile e India!), alla quale appare indissolubilmente legato anche il numero dei decessi registrati.
Sappiamo bene, altresì, che i cosiddetti tamponi antigenici (alias “rapidi”) hanno un livello di sensibilità inferiore rispetto a quelli molecolari, ai quali vengono generalmente preferiti per il risparmio di tempo che comporta. A ciò si aggiunge il fatto, altrettanto innegabile, che le performance nel diagnosticare con certezza un’infezione sostenuta dalle “varianti” di SARS-CoV-2** (quali la variante “inglese”, “brasiliana”, “sudafricana”, “indiana”, ecc.) sarebbero inferiori per i tamponi rapidi rispetto a quelli molecolari.
Lungi da me, ovviamente, la benché minima intenzione di fare da “iettatore”, ma i numeri non vanno solamente dati e letti, ma anche e soprattutto interpretati!

 

Il futuro della pandemia nell’uomo e negli animali

Un ultimo spunto di riflessione, da medico veterinario che fa del principio della “One Health” il proprio vessillo culturale e identitario, riguarda l’evoluzione della pandemia da SARS-CoV-2 o, per meglio dire, le “traiettorie” future che potrebbero caratterizzare il lungo viaggio del virus: è bene ricordare che, con ogni probabilità, il virus ha tratto la propria origine – al pari dei suoi due “predecessori” SARS-CoV e MERS-CoV – da un “primario serbatoio animale” (pipistrelli del genere Rhinolophus) e, forse, anche da uno “secondario” a tutt’oggi non ancora identificato.
Numerose specie di mammiferi domestici e selvatici, in condizioni sia naturali che sperimentali, hanno finora mostrato più o meno elevati livelli di suscettibilità nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2. Particolarmente degne di menzione risultano, fra queste, il visone e il gatto. In molti allevamenti intensivi olandesi e danesi di visoni, già diversi mesi prima che i provvidenziali vaccini anti-Covid-19 venissero messi a disposizione della collettività, gli animali sono stati capaci sia di acquisire l’infezione dall’uomo (“spillover”) sia di “restituire” allo stesso (“spillback”) il virus SARS-CoV-2 in forma mutata (“cluster 5”). Nella specie felina, già dimostratasi sensibile – sia naturalmente che sperimentalmente – nei riguardi di SARS-CoV-2, è stato altresì descritto un caso d’infezione sostenuto dalla variante “inglese” del virus, recentemente diagnosticato in un gatto del novarese i cui proprietari erano risultati affetti da Covid-19.
Fra le tante importanti domande che sarebbe opportuno porsi in proposito, in una sana quanto olistica prospettiva di “One Health” – cosa che scrivo e rimarco non senza una buona dose di sconforto e amarezza, visto che nel Comitato Tecnico-Scientifico, alias “CTS”, non siede ancora un solo medico veterinario! – vi è proprio quella relativa alle “traiettorie” che informeranno l’eco-epidemiologia dell’infezione da SARS-CoV-2 nel momento in cui, grazie alle vaccinazioni di massa, verrà conseguita la tanto agognata immunità di gregge***.
Se ciò renderà infatti difficile e complicata, con ogni probabilità, la vita al virus in termini di capacità di acquisire nuove mutazioni, vale a dire sviluppare nuove, insidiose varianti, la comprovata attitudine di SARS-CoV-2 nei confronti di quel fenomeno che va sotto il nome di “ricombinazione genetica” andrà opportunamente valutata anche negli animali, con particolare riferimento alle diverse specie di mammiferi domestici e selvatici già rivelatesi suscettibili nei riguardi dell’infezione. Memento Homo!

 

Per maggiori informazioni, visitare il portale ufficiale del Ministero della Salute.

 

 

 

* http://www.saperescienza.it/rubriche/fisica-e-tecnologia/coronavirus-primo-bilancio-della-app-immuni

** http://www.saperescienza.it/rubriche/medicina-e-biologia/covid-e-varianti-cave-hominem-ma-occhio-agli-animali

*** http://www.saperescienza.it/rubriche/medicina-e-biologia/l-immunita-di-gregge-cos-e-e-quando-la-raggiungeremo

Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo
Giovanni Di Guardo si è laureato in Medicina Veterinaria nel 1982 presso l'Università di Bologna e ha ottenuto nel 1995 la qualifica di "Diplomato del Collegio Europeo dei Patologi Veterinari". Già Docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria presso l'Università degli Studi di Teramo, è autore di oltre 500 lavori scientifici, 150 dei quali pubblicati su riviste internazionali peer-reviewed. Nutre uno spiccato interesse nei confronti della patologia comparata e della ricerca sulle malattie animali quali potenziali modelli di studio nei confronti delle controparti lesive proprie della specie umana, come l’infezione da SARS-CoV-2.
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