Dei microscopici invertebrati di 24 000 anni sono stati ritrovati nel permafrost siberiano e “scongelati” dai ricercatori russi del Soil Cryology Lab.
Un ritrovamento sotto il ghiaccio
Proprio come in un film di fantascienza, i protagonisti di questa storia si sono ritrovati catapultati nella nostra epoca dopo aver passato millenni all’interno di un blocco di ghiaccio perenne. Il campione di ghiaccio in esame è stato estratto nella Siberia nord-orientale, a una profondità di 3,5 metri sotto la superficie del terreno ed è stato datato con il metodo del carbonio-14. All’interno sono stati ritrovati dei Rotiferi Bdelloidei appartenenti al genere Adineta che, una volta scongelati, sono tornati in vita e sono riusciti a riprodursi.
Sopravvivere in condizioni estreme
Era già noto agli scienziati che i Rotiferi, così come altri piccoli invertebrati, hanno la particolarità di riuscire a sopravvivere in condizioni ambientali estreme come essiccazione, congelamento e mancanza di ossigeno. Per fare ciò entrano in criptobiosi: uno stato in cui l’organismo non mostra segni visibili di vita e la sua attività metabolica diventa difficilmente misurabile, o si ferma in modo reversibile. Praticamente possiamo dire che i Rotiferi, se si ritrovano in un ambiente ostile, “mettono in pausa” tutti i meccanismi vitali all’interno del proprio organismo in attesa di condizioni favorevoli.
Mettere in “pausa” la vita
Inoltre, sembrerebbe che questa capacità sia utile anche per motivi legati all’adattamento e alla divisione in specie. I Rotiferi, infatti, non utilizzano la riproduzione sessuata per riprodursi ma si “replicano” per partenogenesi. Questo significherebbe che ogni organismo che nasce dovrebbe essere esattamente identico all’altro.
Tutto ciò, da un punto di vista evolutivo, risulta essere estremamente svantaggioso perché, senza il rimescolamento genetico che avviene durante la riproduzione sessuata, come può l’organismo adattarsi all’ambiente circostante?
Probabilmente, proprio durante il processo di criptobiosi, potrebbe accadere che il DNA si rompa per poi riassemblarsi nel momento della “resurrezione”. Questo meccanismo non sembra essere dannoso, anzi, permetterebbe di integrare all’interno del DNA il materiale genetico proveniente dalle zone circostanti e quindi darebbe la possibilità all’animale di diversificarsi in specie, evolversi e sfuggire al rischio di estinzione.
Ad oggi si stima che questi organismi siano sul pianeta da ben 50 milioni di anni e se ne possono contare più di 460 specie diverse. Gli esemplari ritrovati in Siberia sono i “più vecchi” mai trovati ancora vivi.
Lo studio di questi non solo permetterà agli scienziati di andare a vedere le differenze fra le specie esistenti e i loro predecessori, ma anche di studiare quali sono i meccanismi biochimici che permettono la sopravvivenza a processi di congelamento. Queste scoperte potranno poi trovare applicazione nell’ambito della biologia evolutiva, delle biotecnologie e della crioconservazione di cellule, tessuti e organi.
Immagine di copertina: Ian Sutton – Flickr