La microscopia è sempre più importante per la comprensione di fenomeni biologici complessi e forse non tutti sanno che è alla base di gran parte dei progressi che si fanno nei campi della biologia e della medicina. I microscopisti però sanno bene che esiste un limite fisico alle dimensioni di quello che può essere “risolto” con un microscopio, definito nel 1873 da Ernst Abbe: il potere di risoluzione, ovvero la capacità di distinguere due punti molto vicini tra loro, è pari a circa la metà della lunghezza d’onda della luce utilizzata. In altre parole con la microscopia ottica non si possono distinguere oggetti più piccoli di 200 nanometri (miliardesimi di metro). Stefan Hell, William Moerner ed Eric Betzig hanno ricevuto quest’anno il Premio Nobel per la Chimica per essere riusciti a superare questo limite.
La microscopia è sempre più importante per la comprensione di fenomeni biologici complessi e forse non tutti sanno che è alla base di gran parte dei progressi che si fanno nei campi della biologia e della medicina. I microscopisti però sanno bene che esiste un limite fisico alle dimensioni di quello che può essere “risolto” con un microscopio, definito nel 1873 da Ernst Abbe: il potere di risoluzione, ovvero la capacità di distinguere due punti molto vicini tra loro, è pari a circa la metà della lunghezza d’onda della luce utilizzata. In altre parole con la microscopia ottica non si possono distinguere oggetti più piccoli di 200 nanometri (miliardesimi di metro). Stefan Hell, William Moerner ed Eric Betzig hanno ricevuto quest’anno il Premio Nobel per la Chimica per essere riusciti a superare questo limite.
Dalla microscopia alla nanoscopia
La legge di Abbe naturalmente resta sempre valida: i tre scienziati tuttavia sono riusciti a trovare modi per aggirarla. Per generalizzare: invece di cercare di distinguere due punti molto vicini, hanno pensato di fare in modo che punti infinitamente piccoli contribuiscano in maniera indipendente a formare l’immagine. Hell ha ideato la microscopia STED (Stimulated emission depletion) in cui due raggi di luce illuminano il campione: il primo eccita tutte le molecole fluorescenti nel campo, il secondo è molto più potente e le “spegne” ovunque tranne in un piccolo anello centrale. Più piccolo è il volume che è lasciato “acceso” in ogni campo illuminato, maggiore sarà la risoluzione finale dell’immagine, composta spostandosi man mano lungo il campione.
Moerner e Betzig hanno invece contribuito indipendentemente alla “microscopia a singola molecola”, sempre lavorando sulla fluorescenza. Moerner è partito da una molecola la cui scoperta era a sua volta valsa il Nobel per la Chimica nel 2008, la green fluorescent protein (GFP). Ha scoperto che alcune varianti della GFP sono “photo-switchable”, ossia possono accendersi o spegnersi se illuminate con luce di specifica lunghezza d’onda. Da qui l’idea di Betzig che due molecole molto vicine si potessero “accendere” (invece di tentare di distinguerle) modulando la potenza della luce. Ripetendo questa operazione più e più volte con poche molecole alla volta del campione, si ricostruiva poi l’immagine basandosi sull’insieme delle posizioni delle singole molecole. Era nata così la PALM (photoactivatable light microscopy) che è stata seguita da altre tecniche simili quali la STORM o la PAINT.
Super-risoluzione e futuro
Con la super-risoluzione si è scesi ben al di sotto del limite di risoluzione di Abbe. Ora la sfida sarà applicare le nuove tecnologie alla varietà dei campioni e delle domande biologiche per ottenere descrizioni quantitative e dinamiche con una risoluzione al livello di nanometri, e quindi delle singole molecole. I prossimi anni sveleranno il reale potenziale rivoluzionario dell’aver infranto la barriera della risoluzione ottica.