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19 Ott 2020

Articoli scientifici: come il Covid ha cambiato il mondo delle pubblicazioni

Ruggiero Quarto

Ruggiero Quarto
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Mai come durante il periodo del lockdown siamo stati costretti a mutare profondamente le nostre abitudini, fino a mettere in discussione le attività quotidiane più basilari. Uno stravolgimento così radicale delle nostre vite ci ha portati più vicini alla scienza, o meglio ai suoi verdetti, ai suoi prodotti, ai risultati attesi, individuando in questi uno dei modi per “tornare alla normalità”. Abbiamo atteso i bollettini, abbiamo seguito l’evoluzione delle cure e ancora oggi attendiamo un vaccino. Allo stesso modo gli scienziati e le scienziate di tutto il mondo hanno rivolto la loro attenzione al Covid-19 e svolto la loro attività scientifica dedicandosi esclusivamente a questo tema, in tutti i suoi aspetti.

 

Un boom di articoli

Data la portata del tema, gli articoli scientifici sul Coronavirus si sono moltiplicati e si è avuta una vera e propria esplosione del numero di studi pubblicati come mai prima: da gennaio a maggio la cifra dei paper sul Coronavirus raggiungeva quota 23.000 e raddoppiava ogni 20 giorni, con una crescita esponenziale che nei primi mesi di diffusione del virus sembrava competere con quella dei contagi.

 

Come si pubblica un articolo scientifico?

Una così consistente produzione scientifica su un tema di attualità e in continua evoluzione come una pandemia deve però scontrarsi con diversi problemi: l’accessibilità delle ricerche su un tema così importante (molti articoli sono a pagamento), la qualità degli studi e la velocità nel valutarla.
In questa strettoia sono diventate di dominio pubblico le potenzialità e i limiti dei siti come medRxiv, bioRxiv ecc., piattaforme su cui i ricercatori pubblicano i loro articoli prima della peer review, un processo di valutazione tra pari atto a valutare l’attendibilità degli studi. Infatti, se da un lato, la velocità con cui venivano pubblicati gli studi scientifici su questi portali ha aiutato tanta gente a informarsi in tempo reale (e a farlo liberamente, senza l’odioso costo degli articoli), dall’altro tanti “scienziati” hanno sfruttato questa possibilità per “spararla grossa” sperando di ottenere visibilità.

 

Il caso: Coronavirus prodotto in laboratorio

Così il 31 gennaio scoppia il caso: un gruppo di ricercatori indiani, facenti capo a due istituti di Nuova Delhi, pubblica su bioRxiv un articolo nel quale si evidenzia “un’inquietante somiglianza tra alcune proteine del 2019-nCoV” – all’epoca si chiamava così, oggi il virus è noto come SARS-CoV-2 – “e quelle dell’HIV”, sottolineando come fosse improbabile trovare queste analogie in natura, lasciando intendere che il virus possa essere stato prodotto in laboratorio. Si scatena subito una bufera, e la “notizia”, ripresa da ZeroHedge, un anonimo blog statunitense che dà spesso spazio a teorie complottiste, si diffonde rapidamente.
In poco tempo la pubblicazione viene poi messa in discussione da almeno tre ricerche indipendenti [1, 2, 3] che evidenziano tutte le falle metodologiche e gli errori nell’interpretazione dei risultati. Dopo il polverone, gli autori hanno ritirato volontariamente l’articolo, ma, nonostante ciò, queste affermazioni così sconsiderate presentate sotto forma di articolo scientifico sono state il presupposto su cui si sono baste strampalate teorie.

 

Valutazione tramite peer review: un processo necessario

A partire da questo episodio, che è forse il più emblematico dei tanti, si deve aprire una riflessione sui portali come medRxiv: pur avendo una serie di effetti positivi – velocità di pubblicazione degli articoli, completa gratuità per i lettori – ha il grosso limite di eludere un processo che invece è necessario per la scienza, ancorché imperfetto, quello della peer review, la discussione che dovrebbe migliorare il risultato della ricerca che nei paper si realizza.
Lo sa bene Ivan Oransky, fondatore di Retraction Watch, un sito che si occupa delle ritrattazioni degli articoli, e di come queste rappresentano uno strumento per capire il metodo scientifico. Oransky dice: «La scienza è conversazione. Purtroppo, le persone in tempi di crisi dimenticano che la scienza è una proposta, una conversazione e una discussione. So che tutti sono alla disperata ricerca della verità assoluta, ma qualsiasi scienziato dirà che non è quello con cui abbiamo a che fare».

 

[1] https://www.europeanscientist.com/en/big-data/no-sars-cov-2-does-not-contain-hiv-genetic-code/
[2] https://www.forbes.com/sites/victoriaforster/2020/02/02/no-coronavirus-was-not-bioengineered-to-put-pieces-of-hiv-in-it/#44586c9f56cb
[3] https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9

Ruggiero Quarto
Ruggiero Quarto
Ruggiero Quarto, classe ’93, è laureato in Scienza e Tecnologia dei Materiali. Da sempre interessato alle implicazioni che la scienza ha sulla società e sui processi sociali. Ha lavorato presso la Cittadella Mediterranea della Scienza di Bari come divulgatore scientifico. Si occupa di politica, è consigliere comunale della sua città natale, ed è un attivista dell’ARCI.
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